1. Nel presente procedimento per equa riparazione il processo presupposto rappresentato dal giudizio promossa dalla ricorrente, F.D., davanti al Giudice del Lavoro di Napoli, in data 6.12.2002, nei confronti dell’INPS, al fine di ottenere il riconoscimento dell’aggravamento della malattia di cui era affetta e conseguire la pensione di invalidità. Il procedimento veniva deciso all’udienza del 17.3.2005, essendo stata fissata la prima udienza il 15.4.2004, decorsi quindi 16 mesi dal deposito del ricorso.
2. A fronte di tale situazione, la F. presentava ricorso davanti alla Corte d’appello di Roma, lamentando l’eccessiva durata del procedimento, calcolata al momento del deposito del ricorso fino al 17.3.2005, ed avanzando la richiesta di un equo indennizzo a titolo di risarcimento danni, pari ad Euro 5.750,00.
Si costituiva in giudizio il Ministero della Giustizia, in qualità di resistente, chiedendo in via principale la declaratoria di inammissibilità del ricorso, ed in subordine il rigetto dello stesso contestandone la fondatezza.
La Corte d’Appello, ritenuta la propria competenza, secondo quanto disposto dalla L. n. 89 del 2001, art. 3, n. 1 considerata la complessità del caso in esame, nonchè il comportamento delle parti e del giudice, in conformità con la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, riteneva che la durata massima del processo dovesse essere contenuta entro i tre anni per il primo grado di giudizio ed entro i due anni per il secondo grado. Valutato che il caso in esame si era protratto al momento del deposito del ricorso per circa tre anni, quindi per un lasso di tempo adeguatamente correlato ai tempi operativi del sistema giudiziario, con riguardo al particolare afflusso di cause di cui deve occuparsi il giudice del lavoro, nonchè corrispondente alle previsioni della Corte Europea, con decreto depositato il 18.1.2006, respingeva il ricorso e condannava parte ricorrente al rimborso delle spese di lite, liquidate in complessivi Euro 900,00, di cui Euro 600 per onorari.
3. F.D. presentava ricorso per cassazione contro tale pronuncia, lamentandone il contrasto con l’orientamento giurisprudenziale sia della CEDU, che della Corte di Cassazione.
Riteneva la ricorrente che il termine di durata media, pari ad anni tre, dovesse essere considerato sufficiente per un normale procedimento civile, non altrettanto ragionevole per un procedimento in materia assistenziale, per il quale devono necessariamente essere previste tempistiche inferiori. Deduceva altresì parte ricorrente la violazione del principio tra il chiesto ed il pronunciato ex art. 112 c.p.c., nonchè il mancato riconoscimento del bonus di Euro 2.000 "rationae materiae", ammesso dalla CEDU e disatteso dal giudice di prime cure. Lamentava la ricorrente che sul punto la Corte d’Appello non si era espressa, violando in tal modo l’art. 112 c.p.c. e art. 360 c.p.c., n. 5 e che la giurisprudenza italiana non si era adeguata ai criteri di determinazione delle spese processuali. Depositava quindi memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
4. In qualità di resistente, il Ministero della Giustizia presentava controricorso in data 24.2.2007, chiedendo il rigetto del ricorso, ritenendo corretta la formulazione della Corte d’Appello, che non aveva riconosciuto alla ricorrente il diritto all’equa riparazione, stante la durata del procedimento presupposto, assolutamente in linea con i parametri della Corte Europea. Asseriva inoltre il controricorrente che non era stata fornita dalla controparte alcuna prova di un pregiudizio di carattere patrimoniale o non patrimoniale e che, qualora questo si fosse verificato, non vi era comunque prova di un pregiudizio morale, non potendosi considerare sufficiente la mera affermazione della ricorrente circa la sussistenza di tale pregiudizio.
5. Il Sostituto Procuratore Generale presso questa Corte di Cassazione, nelle sue conclusioni, presentate in data 13.9.2007, chiedeva il rigetto del ricorso per manifesta infondatezza, essendosi la Corte d’Appello correttamente attenuta ai parametri CEDU ed avendo motivato adeguatamente in merito al non superamento della durata ragionevole. Rilevava inoltre il PG che a parte ricorrente non competeva alcun bonus a titolo di indennizzo automatico rationae materiae e che il proposto ricorso conteneva argomentazioni estremamente generiche.
6. Questo Collegio ritiene che il ricorso sia manifestamente infondato. Innanzitutto si deve affermare l’infondatezza della censura circa l’erronea valutazione della durata del giudizio.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, (sent. n. 15750 del 11/07/2006, rv. 592490; n. 21391 del 04/11/2005, rv. 584705) in tema di diritto ad equa riparazione di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, per la valutazione della ragionevole durata del processo va tenuto conto dei criteri cronologici elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, alle cui sentenze, riguardanti l’interpretazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione EDU richiamato dalla norma interna, deve riconoscersi soltanto valore di precedente, non sussistendo nel quadro delle fonti meccanismi normativi che ne prevedono la diretta vincolatività per il giudice italiano. Anche in tale prospettiva, l’accertamento della sussistenza dei presupposti della domanda di equa riparazione – ovvero, la complessità del caso, il comportamento delle parti e la condotta della autorità – così come della misura del segmento, all’interno del complessivo arco temporale del processo, riferibile all’apparato giudiziario, in relazione al quale deve essere emesso il giudizio di ragionevolezza della relativa durata, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, appartiene alla sovranità del giudice del merito e può essere sindacato in sede di legittimità solo per i profili attinenti alla motivazione, consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5.
Nella specie, il decreto impugnato ha congruamente motivato le ragioni per le quali per il processo in esame, durato fino al momento della presentazione del ricorso due anni e quattro mesi, non potesse dirsi realizzato un superamento della ragionevole durata. Tale valutazione appare rispettosa delle indicazioni della giurisprudenza CEDU e dei parametri solitamente adoperati da questa Corte in casi analoghi. Non ricorrendo i presupposti per accedere alla liquidazione di un risarcimento, tutte le considerazioni svolte dalla difesa ricorrente in merito all’ammontare del preteso indennizzo, al cd.
bonus ed alla liquidazione in suo favore delle spese processuali, devono essere disattese.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore del Ministero della Giustizia, spese che liquida come da dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 1.000,00 oltre le spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2009