La Corte di Appello di Roma, esaminando la domanda di P. A. ed altri il litisconsorti, relativa alla ingiustificata durata della procedura concorsuale relativa al fallimento della s.p.a. Sagittair Aerotaxi Sud (procedura aperta con fallimento dell'(OMISSIS), nella quale i crediti dei ricorrenti, tutti dipendenti della fallita, erano stati ammessi con decreto del G.D. del 2.12.1992, e che ancora non si era conclusa), con decreto del 22.2.2006 ebbe a ritenere ragionevole una durata di cinque anni e pertanto irragionevole il residuo tempo trascorso pari ad anni sette e conseguente mente ebbe a condannare l’Amministrazione della Giustizia a versare a ciascuno dei ricorrenti indennizzo pari ad Euro 7.000,00 oltre interessi e refusione di spese.
Per la cassazione di tale decreto il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso il 2.4.2007 articolando due motivi, resistiti da controricorso degli intimati, illustrato in memoria finale e discussione orale.
Nel ricorso l’Amministrazione si duole in due motivi, conclusi da quesito e da sintesi conclusiva, della automaticità del riconoscimento di indennizzo da ritardo là dove il creditore- lavoratore ammesso al passivo avrebbe dovuto provare, onde addurre la prova del credito ammesso e della sofferenza da attesa nella sua soddisfazione, di aver richiesto all’INPS quanto previsto dalla L. n. 297 del 1982 e L. n. 80 del 1992.
Resistono i controricorrenti osservando che essi avevano chiesto ed ottenuto ammissione al passivo per competenze ben superiori a quelle garantite dal Fondo gestito dall’INPS. Il requirente P.G. nelle richieste ex art. 375 c.p.c., ha concluso per la manifesta infondatezza del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che le formulate censure si fondino su una proposta di interpretazione priva della benchè minima consistenza, là dove postulano che al lavoratore-creditore del fallito incomba, per poter ottenere l’indennizzo da irragionevole durata della procedura concorsuale, la prova di aver richiesto all’INPS quanto dovuto alla stregua delle previsioni delle Leggi del 1982 e del 1992.
In sostanza, poichè, ad avviso della ricorrente Avvocatura Erariale, l’intero credito ammesso al passivo si sarebbe potuto soddisfare con la richiesta al Fondo di Garanzia dell’INPS, l’aliunde perceptum avrebbe escluso danno da ritardo e l’omessa richiesta di tali spettanze avrebbe escluso il patema.
L’inconsueta semplificazione di passaggi, derivante da una altrettanto inconsueta commistione di piani, disvela in realtà l’equivoco che affligge la censura della ricorrente Amministrazione.
L’azione del lavoratore nei confronti dell’INPS-Fondo di Garanzia in caso di fallimento del lavoratore ha infatti natura previdenziale, ha una portata assai limitata (il TFR e gli ultimi tre mesi di retribuzione) ed insorge solo "a valle" dell’apertura della procedura concorsuale (dopo il deposito dello stato passivo, includente i crediti del lavoratore), come ha avuto occasione di rammentare questa Corte in ripetute occasioni (Cass. n. 4183 del 2006, n. 13930 del 2006, n. 11945 del 2007 e n. 10713 del 2008).
Il creditore lavoratore, dunque, deve chiedere l’ammissione al passivo e solo all’esito del deposito del decreto del Giudice può azionare la garanzia dell’INPS, parziale e condizionata, diretta alla percezione sollecita e sostenuta da finalità previdenziale di quanto ex lege previsto.
Non si scorge, quindi, come il ricorso a detta garanzia possa rilevare nella sede della valutazione del danno da irragionevole durata del procedimento concorsuale, non solo in sede di valutazione della misura dell’indennizzo ma, addirittura, costituendo condizione per la sua insorgenza (come sostanzialmente postula la ricorrente Amministrazione del suo primo motivo di ricorso): negligenze, indifferenza e ritardo nel far ricorso a strumenti che possano consentire la realizzazione alternativa dell’interesse alla base della azione-originante il processo irragionevolmente durato, sono certamente dati rilevanti nella sede della liquidazione dell’indennizzo, che, secondo il costante indirizzo di questa Corte, ben può – ove tali situazioni emergano – essere operata ragionevolmente decurtando il minimo annuo indicato dalla Corte Europea.
Ma altrettanto certamente è onere dell’Amministrazione convenuta allegare e provare tali situazioni e non certo pretendere che tanto spetti all’attore, al medesimo incombendo solo di sottoporre al Giudice dell’equa riparazione la durata del processo che lo abbia coinvolto. Il che è quanto dire che il lavoratore creditore del fallito non deve far altro che dimostrare il fallimento del proprio datore di lavoro e la ammissione delle proprie ragioni di credito, restando onere dell’Amministrazione allegare la pretesa inerzia nell’attivazione dei crediti verso il Fondo di Garanzia (provando la assenza di richiesta o sollecitando il Giudice a richiedere informazioni all’INPS) onde argomentare da tal inerzia nel senso della bassa periostio dell’attesa. Nulla di tutto ciò avendo il Ministero fatto nella sede del merito, l’odierna errata tesi ricostruttiva appare da respingere. Le spese dei controricorrenti graveranno sulla ricorrente e si determinano con l’aumento previsto dalla Tariffa per la pluralità di parti.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il Ministero della Giustizia a corrispondere ai controricorrenti le spese del giudizio, determinate in Euro 9.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2009