Con decreto depositato il 13.12.2005 la Corte di Appello di Roma, esaminando la domanda di C.R. e C.G. diretta ad ottenere equa riparazione per la irragionevole durata di un processo penale per il quale essi, all’esito delle indagini preliminari, erano stati tratti al giudizio del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere il 22.7.1999 e dallo stesso Tribunale assolti con sentenza n. 1689 del 2003,, ha ritenuto che la durata, contenuta al di sotto dei quattro anni ed in relazione alla mole dell’attivita’ istruttoria ed al numero degli imputati, non dovesse ritenersi irragionevole. La Corte ha quindi rigettato la domanda e compensato le spese del giudizio.
Per la cassazione di tale decreto i C. hanno proposto ricorso il 25.1.2007, non resistito da difese dell’intimato Ministero, nel quale hanno lamentato l’errore di diritto e la carenza motivazionale commessi nell’aver totalmente ignorato che, come dedotto in giudizio, il processo era stato preceduto da lunghe indagini preliminari (si trattava di una imputazione per truffe ai danni dell’AIMA) e nell’avere pertanto computato, al fine della valutazione di durata, il solo periodo corrente dal rinvio a giudizio.
Il P.G. nelle sue richieste ex art. 375 c.p.c. ha concluso per la reiezione del ricorso avendo riguardo alla manifesta infondatezza delle censure tutte.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Ritiene il Collegio che il ricorso debba essere rigettato, le proposte censure non meritando alcuna condivisione.
Come esattamente notato dal requirente P.G. nella sua richiesta del 19.12.2007, il ricorso soffre di una evidente insanabile carenza di autosufficienza. Se e’ ben vero, infatti, che nella valutazione della durata di un processo penale deve essere computato il tempo occorso per le indagini preliminari, tale computo e’, a sua volta, correlato alla concreta notizia che della loro pendenza abbia avuto l’indagato personalmente, solo a tal condizione l’indagine assumendo il carattere di procedimento coinvolgente l’interessato e fonte di ansia e patemi suscettibili di riparazione. In tal senso non puo’ che richiamarsi l’indirizzo di questa Corte al quale il Collegio da pieno seguito (ex multis vd. Cass. n. 26201 del 2006 e nn. 17431 e 15097 del 2004).
Orbene, se la Corte di merito ha totalmente ignorato il fatto che vi sia stato un periodo di indagini preliminari afferenti i vari procedimenti poi confluiti in quello deciso con sentenza 1689 del 2003, nulla i ricorrenti hanno in questa sede precisato, con la doverosa specificita’ di allegazione, sul momento, anteriore alla notifica del decreto di citazione a giudizio, nel quale, attraverso singoli atti (sequestri, comunicazioni, avvisi), essi abbiano appreso di essere indagati per truffe ai danni dell’AIMA. Essi hanno infatti soltanto affermato che le indagini risalivano al 1992, che nessuno di essi era mai stato "sentito", che bollette di consegna di frutta erano state sequestrate, ma non hanno mai precisato quali atti di indagine ed in che data siano stati portati a loro conoscenza. Ne’ sarebbe stato corretto formulare presunzioni di sorta su detta conoscenza specifica, in un contesto processuale nel quale molte e diverse erano le posizioni sottoposte ad indagine. La genericita’ e carenza di autosufficienza del ricorso, pertanto, impone di rigettare la censura per manifesta infondatezza. Nulla per le spese.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Cosi’ deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 23 dicembre 2009