che C.W. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi avverso il provvedimento della Corte d’appello di Torino, depositato il 18.10.07, con cui il Ministero della Giustizia veniva condannato, ex lege n. 89 del 2001, al pagamento di un indennizzo di Euro 1761,46 per l’eccessivo protrarsi di un procedimento di concordato preventivo cui aveva fatto seguito la dichiarazione di fallimento con la conseguente procedura svoltasi innanzi al Tribunale di La Spezia, escludendo dal computo la durata del concordato preventivo;
che il Ministero non ha resistito con controricorso.

OSSERVA
Con il primo motivo di diritto il ricorrente deduce che l’equo indennizzo debba essere liquidato in rapporto all’intera durata del processo.
Tale motivo è manifestamente infondato, avendo questa Corte ripetutamente affermato che, in applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, il danno non patrimoniale va liquidato in relazione al solo periodo eccedente la ragionevole durata del processo.
Il secondo motivo, con cui si contesta l’ammontare della liquidazione del danno non patrimoniale ed il mancato riconoscimento del bonus di Euro 2000,00, è infondato.
Nella liquidazione del danno, infatti, la Corte d’appello si è attenuta ai limiti massimi stabiliti dai criteri Cedu liquidando Euro 1500,00 per anno.
Quanto al mancato riconoscimento del bonus, la Corte di Strasburgo ha affermato il principio che il bonus in questione debba essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha, poi, fatto un elenco esemplicativo, comprendente le cause di lavoro e quelle previdenziali. Tutto ciò non significa che dette cause sono necessariamente di per sè particolarmente importanti, con una conseguente liquidazione automatica del bonus in questione, ma che, data la loro natura, è possibile che lo siano con una certa frequenza. Tale valutazione di importanza rientra nella ponderazione del giudice di merito che, come è noto, dispone di una certa discrezionalità nel variare l’importo di indennizzo per anno di ritardo (da mille a millecinquecento Euro salvo limitato discostamento in più o in meno a seconda delle circostanze) e che in tale valutazione, qualora riconosca la causa di particolare incidenza sulla situazione della parte, può arrivare a riconoscere il bonus in questione. Tutto ciò non implica uno specifico obbligo di motivazione, essendo quest’ultima compresa in quella che concerne la liquidazione del danno, per cui, se il giudice non si pronuncia sul bonus, implicitamente ciò sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo.
La censura è pertanto infondata.
Con il terzo motivo il ricorrente sostiene che, ai fini della durata del processo, deve ritenersi che la procedura di concordato e quella fallimentare che ad essa consegue costituiscono un’unica procedura quella di fallimento.
Il motivo è infondato alla luce della giurisprudenza di questa Corte che ha già avuto occasione di affermare, in una fattispecie in tema di immutabilità del collegio giudicante, che la procedura di concordato preventivo è distinta da quella fallimentare, anche se tra le due procedure si può verificare una consecuzione (Cass. 20166/04).
Il quarto motivo, con cui si contesta la quantificazione del danno patrimoniale, è inammissibile.
Al ricorso per cassazione in questione devono essere applicate, infatti, le disposizioni di cui al capo I del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (in vigore dal 2.3.2006) e, per quel che occupa, quella contenuta nell’art. 366 bis c.p.c., alla stregua della quale l’illustrazione dei motivi di ricorso, nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., nn. 1-2-3-4, deve concludersi, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto; mentre per l’ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 il quesito deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.
Il motivo in esame non contiene alcuna formulazione di quesiti di diritto in ordine alle questioni sollevate e non può pertanto trovare ingresso in questo giudizio di legittimità;
Il ricorso va, conclusivamente, respinto. Nulla per le spese.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2011