1 – Con ordinanza dell’11 dicembre 2008, la Corte d’Appello di Roma, in applicazione del disposto di cui all’art. 314 c.p.p., ha liquidato a B.C. la somma di Euro 160.000,00 a titolo di equa riparazione per l’ingiusta detenzione in carcere dallo stesso sofferta dal 6 febbraio 2003 al 7 luglio 2004, nell’ambito di procedimento penale che lo ha visto imputato dei delitti di omicidio e di occultamento del cadavere di M.S..
La Corte territoriale ha escluso che fossero ravvisabili comportamenti, riconducibili al richiedente, connotati da dolo o colpa grave, ostativi al riconoscimento del diritto all’equa riparazione. In particolare, l’accento è stato posto sulla condotta processuale del B., in relazione alla quale la stessa Corte ha rilevato che un’unica dichiarazione poteva assumere un qualche rilievo ai fini riparatori, precisamente quella nella quale l’imputato aveva negato di avere fatto salire la vittima, il giorno dei fatti, a bordo della sua auto; dichiarazione seguita dall’ammissione di avere accompagnato in auto la giovane, come spesso accadeva. Il contrasto tra le due dichiarazioni è stato tuttavia ritenuto irrilevante dal giudice della riparazione e non significativo in direzione della esclusione del diritto all’indennizzo, in quanto giustificato dal particolare clima del momento; l’imputato, ha aggiunto lo stesso giudice, aveva sempre negato qualsiasi coinvolgimento nella vicenda delittuosa, laddove le indagini di polizia giudiziaria avevano riguardato solo il richiedente e non avevano sfiorato il conducente di un’auto a bordo della quale la ragazza era stata vista salire.
2 – Avverso tale decisione ricorre l’Avvocatura Generale dello Stato, in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze, che deduce la violazione e l’errata applicazione degli artt. 314 e 315 c.p.p. ed il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in relazione al riconosciuto diritto all’indennizzo, e ne chiede l’annullamento.
Ritualmente costituitosi, B.C., con memoria prodotta presso la cancelleria di questa Corte, chiede dichiararsi inammissibile il ricorso.
2 – Il ricorso è fondato.
In tema di riparazione per ingiusta detenzione, con riguardo all’an debeatur, questa Corte ha affermato che il giudice di merito deve verificare se chi l’ha patita vi abbia dato causa, ovvero vi abbia concorso, con dolo o colpa grave. A tal fine egli deve prendere in esame tutti gli elementi probatori disponibili, relativi alla condotta del soggetto, sia precedente che successiva alla perdita della libertà, al fine di stabilire se tale condotta abbia determinato, ovvero anche contribuito alla formazione di un quadro indiziario che ha provocato l’adozione o la conferma del provvedimento restrittivo. Di guisa che non ha diritto all’equa riparazione per la custodia cautelare sofferta chi, con il proprio comportamento, anteriore o successivo alla privazione della libertà personale (o, in generale, a quello della legale conoscenza di un procedimento penale a suo carico), abbia dato o concorso a darvi causa per dolo o colpa grave. Questi, per determinare l’esclusione dal diritto all’indennizzo, devono sostanziarsi in comportamenti specifici, nei cui confronti dovrà essere accertato il rapporto, ancorato a dati certi e non congetturali, con il provvedimento restrittivo. La medesima Corte ha ancora affermato che la valutazione di tali comportamenti deve essere eseguita non rapportandosi ai canoni di giudizio propri del processo penale, che è diretto ad accertare se la condotta dell’imputato costituisca reato, bensì a quelli propri del procedimento di equa riparazione, che è diretto ad accertare se talune condotte abbiano quantomeno concorso a determinare l’adozione del provvedimento restrittivo; valutazione che deve essere, ovviamente, accurata ed approfondita, di talchè la decisione adottata rappresenti il risultato di un procedimento logico- giuridico chiaramente esplicitato e coerente rispetto agli elementi oggetto di esame. In tale contesto, assumono rilievo anche i comportamenti di tipo processuale, e dunque esterni ai temi d’imputazione, tenuti dall’imputato che, essendo a conoscenza del procedimento a suo carico, si comporti, nel difendersi, in maniera contraddittoria, tale da suscitare o accentuare il sospetto di una sua partecipazione al delitto, ovvero con rilevante imprudenza e grossolana incuria.
Orbene, a tali principi, che questa Corte pienamente condivide, non si è attenuta la corte territoriale che è pervenuta alla decisione impugnata con motivazione che presta apertamente il fianco alle censure proposte dall’avvocatura ricorrente.
In particolare, i giudici della riparazione, nell’esaminare la condotta processuale dell’istante, da un lato, hanno ritenuto irrilevante il contrasto rilevato nelle dichiarazioni dell’imputato, concernente la circostanza dell’accompagnamento in auto della giovane vittima, sulla base di un argomento del tutto inconferente: cioè con il "clima" del momento, dall’altro, hanno ritenuto rilevanti, ai fini dell’esclusione della condotta ostativa, circostanze per nulla significative, come la protesta d’innocenza dell’imputato e la superficialità delle indagini condotte dalla PG. Ciò che ancor più rileva è, tuttavia, che gli stessi giudici hanno del tutto trascurato una complessiva valutazione della condotta processuale del B., caratterizzata, non solo dal richiamato contrasto tra le dichiarazioni dallo stesso rese, ma anche dal mendacio, avendo egli negato di avere mai conosciuto la vittima, dalla prospettazione di un alibi falso e dalla induzione di un teste a rendere dichiarazioni conformi alle sue. Tali comportamenti non sono stati per nulla esaminati dal giudice della riparazione che avrebbe, viceversa, dovuto approfondirli al fine di accertare se essi avessero potuto assumere il rilievo della colpa grave o del dolo, ostativi al riconoscimento del diritto alla riparazione, per avere con tale condotta in qualche modo contribuito il B., sia pure in concorso con l’errore degli inquirenti, a prospettare un quadro indiziario significativo ai fini dell’adozione o del mantenimento del provvedimento custodiale.
Fondate sono, quindi, le censure mosse dalla ricorrente al provvedimento impugnato che deve essere, in conseguenza, annullato con rinvio, per nuovo esame, alla Corte d’Appello di Roma, cui va altresì rimesso il regolamento, tra le parti, delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, cui demanda anche il regolamento delle spese tra le parti per questo giudizio.
Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010