F.B. ha richiesto la cassazione del decreto della Corte d’ appello di Perugia del 15 gennaio – 27 febbraio 2007, che ha accolto parzialmente la sua domanda del 2 maggio 2006 nei confronti del Ministero della giustizia, di equa riparazione, ai sensi della L. n. 89 del 2001 e dell’art. 6 della Convenzione dei diritti dell’uomo, per i danni da lui subiti a causa della irragionevole durata di un processo penale a suo carico, iniziato con perquisizione domiciliare del 10 giugno 1997 durante la quale gli era consegnata la informazione di garanzia per il reato di cui all’art. 416 c.p. e definito, con sentenza della Corte d’appello di Roma del 18 aprile 2005 che, dopo la decisione di condanna di lui in primo grado, dichiarava estinti per prescrizione i delitti ascritti.
La Corte adita ha affermato che la durata complessiva dei due gradi di merito era stata di anni sette e mesi quattro, dovendosi escludere da essa i tempi delle indagini preliminari rimaste ignote al ricorrente e inidonee ad incidere sulla sua psiche in ordine all’ansia per l’esito del giudizio, ed ha ritenuto di tale periodo giustificati complessivamente anni sei e mezzo per i due gradi di causa, elevando il tempo di cinque anni di solito ritenuto necessario, per la complessità del processo desumibile dal numero degli imputati (dieci) e per la difficoltà delle indagini sul reato associativo. Per la Corte sono stati quindi irragionevoli soltanto mesi undici del processo penale presupposto, per i quali ha condannato il Ministero a corrispondere un equo indennizzo di Euro 1.200,00 e la metà delle spese di causa, compensate nel resto, per la soccombenza solo parziale del convenuto.
Negati i danni patrimoniali neppure specificamente allegati in ricorso, non essendovi prova del nesso eziologico tra durata del processo e problemi di salute del F. soggetto iperteso e considerato che i danni morali subiti sono derivati dalla natura del processo più che dalla sua durata, la Corte d’appello ha liquidato il dovuto nella somma sopra indicata.
Per la cassazione di detto provvedimento del 27 febbraio 2007, il F. propone ricorso di due motivi, notificato il 25 marzo 2008 al Ministero della giustizia, che si difende con controricorso e ricorso incidentale di due motivi notificato il 2 maggio 2008.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1.1. Nel suo ricorse in cassazione di due motivi, il F. ha dedotto: 1) violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione ai criteri per determinare la durata del processo, avendo il decreto fatto decorrere la stessa dalla data di ricezione dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare davanti al G.I.P. (29 ottobre 1998) invece che da quella della perquisizione domiciliare del 10 giugno 1997 con connessa informazione di garanzia, pur rilevando che in concreto, con tale attività, l’attore era venuto a conoscenza della imputazione a suo carico. Da ciò derivano errori di motivazione del decreto, che limita ulteriormente la fase di durata ingiustificata del processo presupposto in rapporto all’ansia che poteva derivare al F. dalla consapevolezza dello stesso; 2) violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, per non aver computato il danno biologico subito dal F., negandone il nesso con la durata del processo, dovendosi in ogni caso escludere qualsiasi rilievo al proscioglimento per la prescrizione del reato, che è stato accettato dall’imputato per affrettare la conclusione della causa.
1.2. Il Ministero eccepisce l’inammissibilità del ricorso principale, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. perchè i motivi di esso coinvolgono violazioni di legge e difetti di motivazione, confondendo i principi di diritto violati con i fatti cui si riferisce la carenza motivazionale (così S.U. n. 20603/07) e deduce in via incidentale: a) violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè nel caso in cui, dopo la condanna del primo grado, l’imputato è prosciolto in appello per prescrizione del delitto, la durata del processo si risolve in un chiaro vantaggio per lo stesso; 2) omessa motivazione in ordine alla violazione del termine ragionevole di durata del processo presupposto, di natura penale, per il quale la durata di otto anni non poteva che ritenersi in concreto giustificata.
3. Preliminarmente devono riunirsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c. i due ricorsi principale e incidentale del F. e del Ministero.
In ordine all’eccezione d’inammissibilità del ricorso per carenze dei quesiti conclusivi di diritto, sul presupposto che in essi si fa questione sia di violazioni di legge che di difetti motivazionali, la deduzione, come prospettata, è infondata.
Infatti ciò che può precludere il ricorso, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., non è il mero richiamo anche ai vizi motivazionali, se dalla sintesi-quesito di ciascun motivo emerge distintamente l’errore di diritto del giudice di merito con il principio di cui si chiede l’applicazione in sostituzione di quello erroneamente applicato (Cass. 25 maggio 2010 n. 12712) che i fatti su cui non vi è adeguata motivazione.
Nel caso concreto l’eccezione d’inammissibilità dell’intero ricorso principale è generica e può rilevare, come sarà poi chiarito, solo in riferimento al secondo motivo del ricorso principale, la cui sintesi finale non denuncia un errore di diritto sul concetto giuridico di nesso eziologico tra fatto e danno cui si richiama il decreto impugnato ma pone il problema del collegamento tra la durata del processo e la salute dell’imputato, riferendo a difetti motivazionali le carenze di cui al provvedimento oggetto di ricorso, senza precisare i fatti su cui tali difetti di motivazione si sarebbero in concreto manifestati.
Il primo motivo del ricorso principale è invece fondato e da accogliere, in quanto, pur essendosi nel decreto esattamente rilevato dalla Corte d’appello che l’inizio del processo penale, ai fini della durata ragionevole, è il momento in cui l’imputato ha la concreta notizia del reato per cui si procede nei suoi confronti, essendo tale mera notizia sufficiente a renderlo ansioso in ordine all’esito del processo, si afferma poi in concreto che nella fattispecie, anche se il F. in occasione della perquisizione domiciliare, aveva appreso il 10 giugno 1997, a causa della informazione di garanzia, del probabile procedimento penale a suo carico proseguito con la richiesta di rinvio a giudizio, nessun concreto rilievo avrebbero sivuto le indagini preliminari come in teoria può anche accadere (così Cass. 24 settembre 2009 n. 20541) ma non come è avvenuto nel processo a carico del ricorrente che con la perquisizione della sua casa, ha anche appreso dell’inizio del processo, subendo da quel momento l’ansia sul suo esito (così Cass. 29 aprile 2010 n. 10310).
Il secondo motivo di ricorso principale già ritenuto infondato sul difetto di motivazione, è inammissibile poi per l’astrattezza e inconferenza del quesito di diritto, relativo all’esistenza del danno biologico o di quello esistenziale e non al nesso eziologico tra tali pregiudizi e la durata del processo, escluso in decreto con motivazione congrua e logica.
Complessivamente del ricorso principale deve accogliersi il primo motivo e rigettarsi il secondo, mentre quello incidentale è da rigettare per entrambi i profili in cui è prospettato.
In ordine al primo motivo di ricorso incidentale infatti la estinzione del reato per prescrizione in tanto può escludere l’ansia da durata del processo, in quanto sin dall’inizio l’imputato ha consapevolezza dell’esito positivo del processo per la causa d’estinzione del delitto a lui imputato (Cass. 13 settembre 2006 n. 1966); quando invece, come nella fattispecie concreta, non si configura in concreto la certezza della prescrizione sin dal momento iniziale del giudizio, la durata ingiustificata del procedimento penale produce comunque ansia all’imputato, anche se questo può essere avvantaggiato dal tempo che trascorre per effetto della estinzione del reato.
In ordine al secondo motivo di ricorso incidentale, che censura la motivazione sulla misura della durata irragionevole che in concreto mancherebbe, esso è inammissibile, non indicando i fatti di cui la Corte di merito non avrebbe tenuto conto nè le ragioni che rendono ingiustificate le conclusioni del decreto impugnato.
4. In conclusione, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale che rigetta nel resto così come la impugnazione incidentale del Ministro della giustizia; cassa il decreto impugnato in relazione al solo motivo accolto del ricorso principale e, non essendovi altri accertamenti di fatto, decide la causa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c. e accoglie parzialmente la domanda di determinazione della durata eccessiva del processo, facendo decorrere la stessa per il procedimento penale dalla data della informazione di garanzia intervenuta nella perquisizione domiciliare del 10 giugno 1997; pertanto la durata complessiva e quella ingiustificata del processo penale presupposto devono elevarsi del periodo di un anno, quattro mesi e diciannove giorni corrispondente al tempo non calcolato nel decreto impugnato, elevando dello stesso tempo gli undici mesi già ritenuti ingiustificati ed fissandoli in anni due, mesi tre e giorni diciannove.
Tenuta fissa la misura annuale dell’indennizzo di circa Euro 1315,00, lo stesso sì deve nel complesso elevare per la maggiore durata ingiustificata sopra precisata fino a complessivi Euro 3.027,00 (arrotondando la somma, di Euro 2.630 per i primi due anni + Euro 327,5 per i tre mesi + Euro 69,13, per i residui diciannove giorni) per il danno non patrimoniale subito, oltre agli interessi legali dalla domanda, in luogo degli Euro 1.200,00 determinati per gli undici mesi erroneamente riconosciuti come ingiusti. Deve invece confermarsi la compensazione per la metà delle spese del grado di merito e di quello di legittimità, in ragione del minimo parziale accoglimento della domanda originaria di danni per complessivi Euro 800.000,00, richiesti, secondo il ricorrente, anche in ragione del coinvolgimento della moglie del F. nel processo penale che precede (pag. 5), considerato comunque il solo parziale accoglimento del ricorso principale, liquidandosi quanto dovuto per la indicata quota delle spese nelle misure indicate in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale: e rigetta il secondo e quello incidentale; decidendo la causa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., accoglie parzialmente la domanda di equo indennizzo e condanna il Ministero della giustizia a pagare, a tale titolo, a F.B. Euro 3.027,00 tremilaventisette/00), oltre agli interessi dalla domanda e la metà delle spese dell’intero processo, che compensa nel resto tra le parti, e liquida, in tale ridotta misura, per il giudizio di merito, in Euro 800,00 di cui Euro 500,00 per onorari ed Euro 250,00 per diritti e per la presente fase di cassazione, in Euro 700,00 di cui Euro 100,00 per esborsi.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 ottobre 2010.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2010