Con ricorso notificato in data 16.7.2009 il condominio "Romana", sito nel comune di Ceriale alla omissis, ha impugnato il permesso di costruire 17.2.2009, n. 15C009, rilasciato dal comune di Ceriale al controinteressato signor R. S. per la ristrutturazione del piano terreno del fabbricato, mediante costruzione di cinque appartamenti in luogo dell’unico locale preesistente e cambio di destinazione d’uso da magazzino a civile abitazione.
Espone che in due occasioni – prima in data 3.2.2007 e quindi, su di un diverso progetto, in data 27.4.2008 – l’assemblea condominiale aveva respinto il progetto proposto dal signor R. per la ristrutturazione del locale a piano terreno con cambio di destinazione d’uso da magazzino a civile abitazione e che, ciò nonostante, questi ha richiesto ed ottenuto dal comune il relativo titolo edilizio.
A sostegno del gravame deduce due motivi di ricorso, rubricati come segue.
1. Eccesso di potere per difetto di istruttoria, in relazione al disposto di cui agli artt. 11 e 20 del D.P.R. n. 380/2001.
Lamenta che, poiché i lavori contestati incidono su parti comuni dell’edificio (segnatamente, sul così detto decoro architettonico della facciata, mediante l’apertura di nuove porte e finestre), essi necessitavano del preventivo assenso del condominio.
2. Violazione di legge in riferimento agli artt. 2 e 5 L.R. n. 24/2001.
In violazione della norma rubricata, il progetto assentito prevede la modificazione delle caratteristiche architettoniche essenziali dell’edificio, e non prevede il reperimento di idonei spazi per parcheggi residenziali.
Alla domanda di annullamento del titolo edilizio accede domanda di risarcimento del danno in forma specifica, mediante riduzione in pristino dello status quo ante.
Si sono costituiti in giudizio il comune di Ceriale ed il controinteressato signor R. S., controdeducendo nel merito ed instando per la reiezione del ricorso.
In via preliminare entrambe le difese delle parti resistenti hanno eccepito la irricevibilità del ricorso per tardività sia rispetto alla data della seconda assemblea condominiale (14.2.2009), sia rispetto a quella di inizio dei lavori, segnalata con l’apposizione del cartello di cantiere.
Sempre in via preliminare, la difesa del controinteressato ha eccepito l’inammissibilità del ricorso proposto dall’amministratore di condominio in difetto di idonea autorizzazione assembleare.
Con ordinanza 28.8.2009, n. 290 la Sezione ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.
Alla pubblica udienza del 14 gennaio 2010 il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione.

DIRITTO
Occorre preliminarmente affrontare le eccezioni di inammissibilità del ricorso.
L’eccezione di irricevibilità del ricorso per tardività è infondata.
Entrambe le difese della parti resistenti adducono a fondamento dell’eccezione la circostanza che in data 20.2.2009, in occasione dell’inizio dei lavori, venne apposto il cartello di cantiere con l’indicazione degli estremi del titolo edilizio, e che, a quella data, i condomini erano certamente a conoscenza del progetto, per averlo valutato e respinto nell’assemblea condominiale.
Giova premettere come, ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione, con la locuzione "piena conoscenza" del provvedimento non deve intendersi che il destinatario deve aver conosciuto l’atto in tutti i suoi elementi, essendo sufficiente che egli sia stato edotto di quelli essenziali, quali l’autorità amministrativa che l’ha emanato, la data, il contenuto dispositivo e, soprattutto, il suo effetto lesivo.
Con particolare riguardo a quest’ultimo elemento, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione di una concessione edilizia da parte di terzi, l’effetto lesivo si atteggia diversamente a seconda che si contesti l’illegittimità del permesso di costruire per il solo fatto che esso sia stato rilasciato (e.g., per contrasto con l’inedificabilità assoluta dell’area) ovvero per il contenuto specifico del progetto edilizio assentito, che, per esempio, non rispetta le distanze dalle costruzioni (Cons. di St., IV, 24.12.2007, n. 6621; id., V, 19.6.2006, n. 3578).
In questo secondo caso, cui è sicuramente da ricondurre la fattispecie in esame, la mera esposizione del cartello di cantiere recante gli estremi del titolo edilizio non è sufficiente – da sola – a far decorrere il termine di impugnazione, in quanto esso non contiene informazioni sufficienti sul contenuto specifico del progetto edilizio assentito, atte a farne immediatamente percepire l’effetto concretamente lesivo per i terzi interessati.
Né può rilevare che i condomini del fabbricato fossero a conoscenza del progetto per averlo discusso e bocciato nell’assemblea del 27.4.2008.
Anzi, al contrario, proprio il principio di tutela del ragionevole affidamento riposto nella buona fede altrui doveva indurre i condomini a concludere nel senso che, una volta adottata dal condominio una deliberazione di diniego su di uno specifico progetto edilizio presentato dal signor R. che comportava la modifica di alcune parti comuni dell’edificio, il progetto successivamente presentato in comune e da questi assentito fosse radicalmente diverso o – quantomeno – emendato delle parti che avevano determinato il dissenso del condominio.
Ciò, ovviamente, fino al momento in cui lo stato di avanzamento dei lavori non ha reso palese la modifica delle parti comuni ed il corrispondente effetto lesivo del titolo edilizio.
Una piena conoscenza dell’effetto lesivo del permesso di costruire non può neppure discendere, come preteso dalla difesa del controinteressato, dalla circostanza che la documentazione fotografica depositata dal condominio ricorrente rechi impressa la data del 28.4.2009, in cui le stesse sarebbero state scattate.
Ed invero, secondo quanto allegato in ricorso (p. 5), le fotografie in questione documentano soltanto l’inizio delle opere – meramente interne – di tramezzatura alla data del 28.4.2009, non già la realizzazione delle contestate aperture sui prospetti comuni, sicché deve escludersi che a quella data fosse percepibile l’effetto lesivo dell’intervento assentito.
La circostanza che nel ricorso le medesime fotografie siano state più oltre richiamate, nell’ambito delle argomentazioni a sostegno della domanda cautelare (p. 10 del ricorso), quando (alla data di proposizione del ricorso) il progetto era ormai compiutamente conosciuto, testimonia soltanto del giustificato timore che, in assenza dell’invocato provvedimento cautelare, i lavori potessero proseguire fino a recare un definitivo pregiudizio anche alle parti comuni.
Del resto, la fotografia di cui al doc. 2 delle produzioni 24.7.2009 di parte ricorrente testimonia che, alla data del 26.5.2009, non risultavano ancora realizzate le nuove aperture sui prospetti.
Medesima sorte tocca all’altra eccezione preliminare, attinente alla pretesa inammissibilità del ricorso proposto dall’amministratore di condominio in difetto di idonea autorizzazione assembleare.
Il verbale dell’assemblea del 14.2.2009, letto in coordinamento con quello dell’assemblea del 3.2.2007 (docc. 5 ed 8 delle produzioni 24.7.2009 di parte ricorrente), contiene infatti uno specifico mandato ad agire in caso di rilascio al signor R. di titoli edilizi per il mutamento della destinazione d’uso del piano terreno, addirittura con l’indicazione del legale cui rivolgersi.
Venendo al merito della questione, è pacifico che i lavori contestati incidano su parti comuni dell’edificio e, segnatamente, sulla facciata e sui prospetti, modificandone il così detto decoro architettonico mediante l’apertura di nuove porte e finestre (doc. 3 delle produzioni 24.7.2009 di parte ricorrente).
Sul punto, la Suprema Corte ha affermato che, "in tema di condominio degli edifici, il decoro architettonico – allorché possa individuarsi nel fabbricato una linea armonica, sia pure estremamente semplice, che ne caratterizzi la fisionomia – è un bene comune il cui mantenimento è tutelato a prescindere dalla validità estetica assoluta delle modifiche che si intendono apportare. Pertanto, una volta accertato che le modifiche non hanno una valenza ripristinatoria o migliorativa dell’originaria fisionomia, ma alterano quest’ultima sensibilmente, non ha alcuna rilevanza l’accertamento – del tutto opinabile – del risultato estetico della modifica, che deve ritenersi non consentita quand’anche nel suo complesso possa apparire a taluno gradevole" (Cass., II, 30.8.2004, n. 17398).
Dunque, non rileva che le modifiche proposte "hanno limitatissimo rilievo estetico ed anzi determinano un perfetto allineamento ed una assoluta coerenza dimensionale con le aperture ai piani superiori, in modo da ottenere un armonico inserimento nella parete condominiale" (così la memoria 28.12.2009 del controinteressato signor R., p. 5): ciò che rileva è che i lavori edilizi de quibus debbono eseguirsi (anche) su parti comuni del fabbricato e non concernono opere connesse all’uso normale della cosa comune, sicché l’amministrazione comunale era tenuta, ai fini del rilascio della relativa concessione, a richiedere il consenso di tutti i proprietari (Cons. di St., IV, 11.4.2007, n. 1654).
La sentenza Cons. di St., V, 26.4.2005, n. 1874, citata dalla difesa del comune come espressione di un diverso orientamento, in realtà chiarisce che, in quella fattispecie, si trattava di opere di modesta rilevanza edilizia che non implicavano – al contrario del caso de quo – una stabile modificazione del prospetto della facciata.
Del resto, al di là di ogni argomentazione difensiva, resta il fatto che lo stesso ricorrente ha ritenuto necessario sottoporre il progetto, per ben due volte, all’assemblea condominiale onde conseguirne l’assenso, salvo poi procedere unilateralmente pur in presenza di un espresso diniego.
Il ricorso appare dunque fondato, sotto l’assorbente profilo della violazione dell’art. 11 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria (cfr. T.A.R. Liguria, II, 9.1.2009, n. 43).
Né può rilevare la circostanza che il condominio ricorrente non avesse fornito all’amministrazione apporti partecipativi nel corso dell’istruttoria: diversamente dal caso citato di cui alla sentenza T.A.R. Liguria, I, n. 1376/2007 (riferita alla presenza di una servitus altius non tollendi di origine pattizia), l’incidenza dell’intervento sulle parti comuni del condominio era rilevabile dall’amministrazione ictu oculi, senza bisogno di sollecitazioni in tal senso.
Il permesso di costruire 17.2.2009, n. 15C009 deve pertanto essere annullato.
Circa la domanda di risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica ex art. 7 comma 3 L. n. 1034/1971, si osserva che "in caso di costruzione realizzata in violazione di norme edilizie, al fine dell’accoglimento della domanda volta ad ottenere la riduzione in pristino dello stato dei luoghi, con conseguente demolizione del manufatto, non è sufficiente accertare l’illegittimità dello stesso, ma è necessario verificare che la disposizione edilizia violata abbia carattere integrativo delle norme poste dal codice civile a tutela dei diritti dei proprietari confinanti, atteso che, soltanto in presenza di tale condizione, l’art. 872, comma 2, c.c. consente, oltre che il risarcimento del danno, la rimozione in forma specifica degli effetti della violazione" (Cass., II, 28.7.2005, n. 15886; nello stesso senso id, 29 luglio 2005 , n. 16094).
Nel caso di specie, la disposizione edilizia violata (11 del D.P.R. n. 380/2001) non riveste portata integrativa delle disposizioni del codice civile sui rapporti di vicinato: pertanto, la domanda di reintegrazione in forma specifica deve essere rigettata, fermo ovviamente il potere della p.a., sollecitabile dal ricorrente, di disporre la restituzione in pristino ex artt. 55 L.R. n. 16/2008 e 38 D.P.R. n. 380/2001.
Analogamente, deve essere rigettata la domanda di risarcimento del danno per equivalente, vuoi perché allo stato generica e non provata, vuoi perché la tempestiva concessione della tutela cautelare ha impedito che si producesse un danno alle parti comuni dell’edificio.
Le spese seguono come di regola la soccombenza, e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato.
Condanna il comune di Ceriale ed il controinteressato signor R. S., in solido, al pagamento in favore del condominio ricorrente delle spese di giudizio, che si liquidano in complessivi 5.000,00 (cinquemila), oltre I.V.A. e C.P.A..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 14 gennaio 2010 con l’intervento dei Magistrati:
Santo Balba, Presidente
Paolo Peruggia, Consigliere
Angelo Vitali, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 25 GEN. 2010.