1. Con distinti atti di citazione, i signori F.A. e G., M.M.G., S., P. e M., premesso di essere proprietari e/o usufruttuari dei locali ad uso negozio aventi ingresso, rispettivamente, da Via (OMISSIS) a da Via (OMISSIS), siti nell’edificio condominiale di Via (OMISSIS), convennero in giudizio il predetto condominio per sentir annullare le delibere delle assemblee condominiali del 23 maggio 1997 e del 26 marzo 1999, nella parte in cui avevano ripartito le spese di portierato secondo i millesimi di proprietà indicati nella tabella A anzichè secondo quelli della tabella B; o, in subordine, per sentir stabilire la diversa quota dovuta per le predette unità immobiliari in relazione all’eventuale servizio goduto, tenendo conto di quanto disposto dall’art. 1123 c.c., e art. 68 disp. att. c.c., e dell’art. 2041 c.c..
Il Tribunale di Roma, riuniti i due giudizi con sentenza n. 35521 del 2000, respinse le domande.
Avverso tale sentenza proposero appello gli originari attori, chiedendo l’accoglimento delle domande proposte in primo grado, nonchè, in via subordinata, la rimessione degli atti a primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., per l’integrazione del contraddittorio o l’ammissione di ulteriore prova testimoniale.
2. – La Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 4 febbraio 2004, in parziale accoglimento del gravame, dichiarò la nullità della sentenza impugnata per omessa integrazione del contraddittorio limitatamente al rigetto della domanda subordinata, rimettendo la causa innanzi al Tribunale di Roma ai sensi del citato art. 354 c.p.c..
Quanto, invece, alla doglianza relativa alla pretesa erroneità della interpretazione meramente letterale delle previsioni dell’art. 5 del regolamento, per il mancato collegamento di questo con l’atto transattivo con il quale le stesse parti avevano provveduto alla divisione della originaria comunione del fabbricato prevedendo anche il contenuto del regolamento condominiale, ma senza autorizzare alcuna deroga alle disposizioni codicistiche in ordine alla distribuzione degli oneri tra le singole unità immobiliari, la Corte ritenne infondata la censura.
Osservò in proposito il giudice di secondo grado che, se pure il predetto atto di divisione, rogato nello stesso giorno del deposito del regolamento condominiale, stabiliva alcuni principi cui quest’ultimo si sarebbe dovuto uniformare, ciò non poteva far escludere che su altri punti il regolamento disponesse seguendo la libera volontà contrattuale dei condomini, i quali validamente avevano deciso i criteri di attribuzione degli oneri, derogando in materia di spese di portierato alla regola generale fissata nell’art. 1123 c.c., comma 1. La testuale disposizione dell’art. 5 del Regolamento, prevedendo l’obbligo dei condomini di partecipare alle spese per il servizio di portineria in proporzione del valore delle loro rispettive quote di comproprietà espresso in millesimi nella tabella A, non poteva essere diversamente interpretata, mentre il successivo art. 9 prevedeva il ricorso alla tabella B – che, a differenza della tabella A, escludeva i proprietari dei negozi – per la divisione delle spese di manutenzione delle scale, ma solo per la diversa ipotesi in cui mancasse il servizio di portierato. Il chiarissimo rinvio dell’art. 5 della tabella A in merito alle spese per il servizio di portierato, secondo la Corte di merito, non poteva non prevalere sul sintetico riferimento al "portiera" che nel riepilogo delle tabelle si leggeva in corrispondenza della tabella B, e che aveva indotto gli attori e sostenere l’applicabilità di detta tabella per le spese relative al portierato.
3. Per la cassazione di tale sentenza ricorrono i signori M. M.G., S., P. e M., sulla base di due motivi illustrati anche da successiva memoria. Resiste con controricorso il Condominio di Via (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con la prima censura, si lamenta insufficiente e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia, nonchè violazione dell’art. 115 c.p.c., in correlazione con gli artt. 1362, 1367 e 1371 c.c.. Avrebbe errato il giudice di secondo grado nel fondare la propria decisione solo un quanto poteva ricavarsi dell’atto dell’11 settembre 1996 di divisione della originaria comunione del fabbricato in questione, senza tener conto di quanto si evinceva dal precedente atto di transazione e contratto preliminare di divisione del 31 marzo 1996, in cui si era convenuto di predisporre un regolamento condominiale sulla base dello schema tipo redatto dall’Associazione della Proprietà Edilizia, fatta salva la integrazione dello stesso con le tabelle millesimali allegato all’atto, ivi compresa la tabella B denominata "portiere", che le parti avevano fatto redigere, per la suddivisione delle spese di portierato, sulla base della effettiva situazione dell’immobile di Via (OMISSIS), in cui i negozi aventi accesso alla pubblica via non godevano in alcun modo del servizio di portierato, e che, in fatti non contemplava detti locali.
2. – Con la seconda doglianza si lamenta violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione degli artt. 1362, 1367, 1368 e 1371 c.c., e omessa e/o contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. La Corte capitolina, nella attività di interpretazione del regolamento condominiale, non si sarebbe dovuta limitare ad adottare un criterio letterale, a fronte di dati testuali contrastanti, quali emergenti, da un lato, dal rinvio, contenuto negli artt. 5 e 9 del regolamento – corrispondenti allo schema tipo previsto dall’Associazione della Proprietà Edilizia – rispettivamente alle tabelle "A" e "B", e, dall’altro, dalla apposita tabella "B", espressamente denominata "portiere", predisposta dai condividenti con riferimento alla concreta situazione del Condominio di Via (OMISSIS). Il giudice di secondo grado, in siffatta situazione, avrebbe dovuto, in ossequio al disposto dell’art. 1362 c.c., individuare gli elementi maggiormente significativi della comune volontà delle parti. Secondo i ricorrenti, la circostanza che le unità immobiliari di proprietà degli stessi non usufruissero in alcun modo del servizio di portierato, unita alla avvenuta predisposizione di un’apposita tabella "B" denominata "portiere", che non contemplava oneri a carico dei negozi (e che, secondo la Corte di merito, avrebbe dovuto trovare applicazione, per effetto dell’art. 9 del regolamento, con riguardo alla divisione delle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale, ma solo nella ipotesi, insussistente nella specie, in cui fosse mancato il servizio di portierato), e di una tabella "C", specificamente denominata "scale e androne", avrebbe dovuto indurre il giudice di secondo grado a concludere che la reale volontà delle parti era stata quella di non imporre ai proprietari dei negozi per un servizio di cui essi non avevano mai fruito.
3. – Le censure – che, avuto riguardo della stretta connessione logico – giuridica che le avvince, siccome sostanzialmente volte entrambe alla contestazione dei criteri adottati dalla Corte di merito nella interpretazione del regolamento condominiale di cui si tratta – risultano meritevoli di accoglimento.
4.1. – Al fine di dare una soluzione alla questione sottoposta all’esame della Corte, si impone una premessa. L’interpretazione di un regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità, quando non rilevi violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Al riguardo, il giudice deve osservare gli stessi canoni ermeneutica stabiliti dall’art. 1362 c.c. e ss., per la interpretazione degli atti negoziali, avendo questi validità generale, così che la parte la quale censuri il significato attribuito dal giudice di merito ad un regolamento di condominio deve precisare quali norme ermeneutiche siano state in concreto violate e specificare in qual modo e non quali considerazione del Giudice di merito se ne sia discostato. Ove, poi, la censura, a prescindere dal rispetto dei canoni ermeneutica, riguardi anche il vizio di motivazione, nel quale il Giudice sarebbe incorso, essa deve investire l’obiettiva deficienza o la contraddizione del ragionamento su cui si fonda l’interpretazione accolta, poichè il sindacato di legittimità può riguardare unicamente la coerenza formale della motivazione, ovvero la coerenza logica dei vari passaggi che ne costituiscono la struttura argomentativa.
In definitiva, non è ammissibile che le due censure si risolvano in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal Giudice mediante la mera contrapposizione ad esso di una differente interpretazione (v., tra le altre, Cass. Sentenza n. 13613 del 2004, n. 641 del 2003).
4.2. – Ciò posto, deve, nella specie, verificarsi se siano riscontrabili nella operazione esegetica compiuta della Corte capitolina i vizi nel percorso argomentativo e le violazioni delle norme ermeneutiche lamentati dai ricorrenti, i quali hanno adempiuto l’onere della specifica indicazione dei criteri cui la sentenza impugnata avrebbe arrecato vulnus e delle contraddizioni in cui la stessa sentenza sarebbe incorsa.
La Corte capitolina muove da una esatta premessa – concernente la possibilità che il regolamento, che, pare, avrebbe dovuto informarsi ad alcuni principi stabiliti nell’atto dell’11 settembre 1996, di divisione della originaria comunione del fabbricato de quo, disponesse, con riguardo ad altri punti, seguendo la libera volontà contrattuale dei condomini – per giungere al risultato di escludere che l’esame dello stesso atto di divisione consentisse di avallare la interpretazione che del regolamento condominiale proponevano gli appellanti. Ma l’atto che costoro avevano indicato come quello da collegare con le previsioni del regolamento di condominio al fine di una corretta interpretazione di quest’ultimo era, in realtà, non già l’atto di divisione cui fa riferimento la sentenza di secondo grado, ma l’atto transattivo (e contratto preliminare di divisione) del 31 marzo 1996. Questo, all’art. 5, il cui contenuto è riportato nel ricorso, prevedeva testualmente che "si conviene che nello stesso termine (quello fissato per il definitivo atti di divisione) (e contestualmente) verrà approvato il regolamento interno dello stabile, che sarà conforme allo schema di quello allegato dell’Associazione della proprietà Edilizia di Roma e Provincia (salvo quanto appresso) e alla millesimazione già redatta in data 1.3.1995 dal Geom. F.E. ed allegata alla presente, sempre a rogito Notaio Montezemolo, che per patto espresso conterà le essenziali pattuizioni di cui al successivo art. 7".
Da tale clausola emerge all’evidenza la reale volontà delle parti contraenti, che era quella di integrare il regolamento condominiale, da predisporre sulla base dello schema tipo redatto dalla predetta Associazione, con le tabelle millesimali già redatte, tra le quali era compresa la tabella "B", la cui intitolazione era "Portiere", che trovava applicazione con riguardo alla suddivisione delle spese di portierato, e che, come risultava dal "Riepilogo tabelle valori millesimali", escludeva da tale suddivisione i locali ad uso negozio di cui ora si tratta: ciò in base alla considerazione che questi ultimi non fruivano del servizio di portierato, siccome aventi accesso dalla strada.
4.3. – A fronte di siffatta, evidente individuazione della comune volontà delle parti, perde rilievo il dato esclusivamente letterale rappresentato dal testo degli artt. 5 e 9 del regolamento di condominio redatti, come si è dianzi chiarito, pedissequamente sulla base dello schema tipo predisposto dall’Associazione della Proprietà edilizia – che richiamavano, rispettivamente, per la ripartizione delle spese per le cose e servizi comuni, la tabella "A", e, per la manutenzione e ricostruzione delle scale, la tabella "B".
Con riguardo, in particolare, al testo dell’art. 9 del regolamento, esso disponeva che "le spese di pulizia (nel caso manchi il servizio di portierato) di manutenzione e ricostruzione delle scale e manutenzione delle pareti che ne costituiscono il vano e relative finestre, sono ripartite tra tutti i condomini dei diversi piani cui servono a norma dell’art. 1124 c.c., e tra i condomini dello stesso piano in proporzione del, valore della rispettiva loro comproprietà, il tutto come risulta dalla tabella B…".
Il tenore letterale di tale disposizione regolamentare aveva indotto la Corte capitolina ad escludere, con riferimento alle spese di portierato, l’applicabilità della tabella "B" che, come chiarito, non contemplava i proprietari dei negozi tra i condomini tra i quali dovevano essere ripartite le spese -, dovendo la tabella medesima essere utilizzata per le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale solo per la ipotesi in cui mancasse il servizio di portierato, laddove esisteva, per dette spese, una specifica tabella, la tabella "C". Si era, in realtà, verificata una difformità tra la intitolazione di alcune tabelle e la tipologia di spese cui facevano riferimento i citati articoli del regolamento.
4.4. – Ebbene, deve, al riguardo, ritenersi, in principio, che la intitolazione delle tabelle non possa essere obliterata, quale criterio interpretativo della volontà delle parti, in favore di una opzione ermeneutica del regolamento condominiale fondata sul mero dato letterale, ove lo stesso sia in palese contrasto con la comune intenzione delle parti stesse.
Nella specie, la sussistenza del contrasto è ampiamente dimostrata, come si è già chiarito, proprio dal divario tra la indicazione contenuta nel regolamento condominiale e la intitolazione delle tabelle, già redatte dal 1995, alle quali l’atto transattivo del marzo del 1996 aveva attribuito valore integrativo del regolamento medesimo.
5. – Conclusivamente, il ricorso va accolto. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere cassata, e la causa rinviata ad un diverso giudice, che si designa nella Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, alla quale viene demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio, e che riesamina la controversia attenendosi ai principi sopra esposti con riguardo alla interpretazione del regolamento condominiale di cui si tratta.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 1 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 28 dicembre 2009