Con atto notificato il 24.2.95 S., D. e E. F., quali proprietari di alcuni immobili in un fabbricato in (OMISSIS), citarono al giudizio del Tribunale di Salerno la societa’ IFA s.r.l., proprietaria di altre unita’ facenti parte del medesimo stabile, al fine di sentirla condannare alla rimozione o riduzione di alcune opere ritenute lesive dei diritti degli istanti ed al ripristino dello stato dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni.
La domanda alla quale aveva resistito la convenuta, dopo l’espletamento della disposta consulenza tecnica di ufficio, fu accolta, per quanto di ritenuta ragione, dall’adito Tribunale che, con sentenza monocratica del 2.5 – 14.7.00, condanno’ la suddetta societa’:
a) ad eliminare la copertura della zona a piano terra compresa tra il muro di sostegno del terrapieno verso la strada statale n. (OMISSIS);
b) a ripristinare la ringhiera dei due manufatti in cemento e lungo il muro di sostegno del terrapieno, nonche’ i tre scalini di dislivello di quest’ultimo;
c) a ripristinare lo stato dei luoghi sui manufatti in cemento e ad eliminare le infiltrazioni di acqua negli androni di ingresso;
d) ad eliminare le fiorere poste sul piazzale antistante il fabbricato;
e) a rimuovere i pali per le insegne pubblicitarie site sul piazzale e sopra il portone, nonche’ a ripristinate il punto luce;
f) a rimettere in pristino i tubi di carico e di troppo pieno del gasolio, il filo del motorino a piano terra presso il serbatoio interrato e l’elettropompa.
La soccombente venne inoltre condannata al rimborso delle spese del giudizio sostenute dagli attori ed al pagamento di quelle della consulenza tecnica di ufficio.
Proposto appello dalla societa’ convenuta, in persona del socio liquidatore della stessa A.M.R., cui resistevano gli E., con sentenza del 17.7 – 9.10.03, la Corte di Salerno, in parziale accoglimento del gravame, limitava l’accoglimento della domanda, per il resto rigettandola, alle seguenti statuizioni:
1) eliminazione del dislivello creato dal massetto di bitume di altezza accedente rispetto agli androni dello stabile;
2) sostituzione delle fiorere circolari con fiorere rettangolari;
3) rimozione dei pali delle insegne pubblicitarie siti nel piazzale, dell’insegna IRNOCAR e ripristino del punto luce in corrispondenza del civico n. (OMISSIS); il tutto con compensazione della meta’ della spese dei due gradi del giudizio, condanna dell’appellante al rimborso dell’altra meta’ in favore degli appellati e ripartizione in quote uguali di quelle di consulenza tecnica di ufficio.
Tale decisione, per quanto ancora rileva in questa sede, veniva motivata come segue:
1) la distanza tra la copertura della zona a piano terra ed il resto del fabbricato non andava osservata, trattandosi di un muro di cinta ed essendo tale distanza obbligatoria solo in tema di vedute;
2) l’eliminazione delle ringhiere sulle due passerelle lungo il muro di sostegno del terrapieno, nonche’ dei tre scalini, era resa necessaria dal nuovo assetto del piazzale e nessun pregiudizio recava agli appellati;
3) quanto alla rimozione dei tubi di Carico del gasolio e del filo di alimentazione del motorino, pur integranti, in linea di principio, una violazione del diritto degli appellati, non poteva confermarsi la condanna al relativo ripristino, essendo emerso che tale impianto non era stato piu’ utilizzato dal 1992, con conseguente difetto di un interesse concreto ed attuale al riguardo degli istanti;
4) non ricorrevano gli estremi per applicare l’art. 1120 c.c., poiche’ le opere descritte, ancorche’ parzialmente eseguite in violazione del diritto dei comproprietari, non alteravano la sostanza della cosa comune, non ne trasformavano l’essenza funzionale, non ne modificavano la destinazione, al piu’ consentendo "un uso piu’ proficuo" del bene da parte della convenuta, proprietaria per due terzi del compendio immobiliare in questione.
Avverso tale sentenza gli E. hanno proposto ricorso per Cassazione deducente tre motivi d’impugnazione.
Ha resistito la societa’ IFA s.r.l. in liquidazione, come in narrativa rappresentata, con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso vengono dedotte violazione falsa applicazione degli artt. 873 e 878 c.c., dell’art. 112 c.p.c., omessa o, insufficiente e contradditoria motivazione su punto decisivo della controversia.
Le doglianze si riferiscono all’esclusione, da parte della corte di merito che l’opera realizzata dalla controparte, costituita da una copertura dell’area cortilizia compresa tra il fabbricato e la base del muro di contenimento della strada ed incorporante la due preesistenti passerelle in cemento adducenti agli appartamenti delle parti attrici, integrasse violazione delle norme sulle distanze legali.
Si censura in particolare l’assunto secondo cui la presenza del muro suddetto, in quanto di cinta, non avrebbe imposto alcun distacco, affermazione che sarebbe erronea, sia perche’ lo stesso superava l’altezza di tre metri, si a perche’ assolveva ad una funzione di contenimento di un terrapieno creato dall’uomo, come tale costituente vera e propria costruzione imponente l’obbligo della distanza.
I giudici di appello oltre ad incorrere in carenza di motivazione sul punto anzi detto, avrebbero del tutto omesso di prendere in considerazione, agli effetti delle distanze legali (previste non solo dal codice civile, ma anche ed in maggior misura, dalle norme integrative dello strumento urbanistico locale), la presenza delle due preesistenti passerelle, anch’esse costituenti manufatti edilizi a tutti gli effetti, cosi’ incorrendo anche nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato; in relazione a tali manufatti, che a differenza del fabbricato e del muro di contenimento, non sarebbero stati in comproprieta’, appartenendo esclusivamente agli attori, ancor piu’ evidente sarebbe stata la violazione.
Si soggiunge, infine, che anche a voler ritenere insussistente per "i piani orizzontali" l’obbligo di rispettare le distanze, altrettanto non potrebbe ritenersi per pilastri sorreggenti il solaio in cemento armato.
Va premesso, ai fini della corretta disamina delle suesposte censure, che in tema di applicabilita’ delle norme sulle distanze legali in ambito condominiale, questa Suprema Corte ha avuto modo, piu’ volte, di affermare il principio, secondo il quale le norme sulle distanze legali, in quanto fondamentalmente destinate a regolare rapporti tra proprieta’ contigue, sono applicabili anche nei rapporti tra i condomini di un edificio condominiale, purche’ siano concretamente compatibili con l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comunale quali ultime, nell’ipotesi di contrasto, assumono prevalenza per il loro carattere di specialita’, segnatamente nei casi in cui la questione delle distanze si ponga tra beni di proprieta’ esclusiva e beni comuni (v., tra le altre, Cass. 15384/00, 8978/03, 7044/04).
Altre pronunzie tendono a distinguere i casi nei quali la questione delle distanze si ponga tra beni comuni e beni in proprieta’ esclusiva, da quelli in cui attenga ai rapporti tra beni di proprieta’ individuale, ipotesi quest’ultima nella quale e’ stata spesso ritenuta applicabile senz’altro la disciplina generale di cui all’art. 873 c.c. e segg. e relative disposizioni integrative (in tal senso 13170/01, 4190/00, 9995/98, 2873/91), facendo salvi, alcune decisioni, i casi in cui la rigorosa osservanza di tale normativa non risulti, secondo l’accertamento del giudice di merito, irragionevole, tenuto conto della concreta struttura dell’edificio e della particolare natura dei diritti e delle facolta’ dei singoli proprietari, la cui convivenza in un unico edificio implica di per se’ il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi della vita condominiale (v. ass. 16958/06, 13852/01, 139/85).
Ai fini dell’applicazione dei suesposti principi, deve anzitutto osservarsi che, nel caso di specie, non risulta essere stata provata la dedotta (ma contestata dalla controparte: . pg. 2 del controricorso) appartenenza in proprieta’ esclusiva agli attori, odierni ricorrenti, di alcuna delle parti dell’edificio in relazione alle quali si e’ posta la questione delle distanze, in particolare delle "passerelle", che pur consentendo l’accesso agli appartamenti E., ponendo tuttavia in collegamento due parti comuni del complesso immobiliare, il muro di contenimento del rilevato della strada statale con il fronte del muro maestro dell’edificio, a livello del solaio tra il piano terra ed il primo piano, non si sottraggono alla presunzione di cui all’art. 1117 c.c., n. 2 (attesa l’assimilabilita’, per analogia di funzioni, alle scale).
Da tale situazione dei luoghi consegue anzitutto, la non invocabilita’ nella specie dei principi giurisprudenziali affermanti la piena e rigorosa applicabilita’ delle distanze tra unita’ immobiliari o parti di esse in proprieta’ esclusiva di singoli condomini. Ma neppure sotto il diverso profilo dei rapporti tra parti esclusive e parti comuni dell’edificio condominiale la normativa suddetta puo’ trovare applicazione, considerato che l’opera di cui si sono dolute la parti attrici ha interessato, per tutta la sua estensione, parti comuni del complesso immobiliare, vale a dire l’area cortilizia, sottoposta al livello stradale ed interposta tra l’edificio ed il muro di contenimento, nonche’ le sovrastanti passerelle di attraversamento, e non ha dato luogo alla creazione di beni di proprieta’ esclusiva della convenuta, ostandovi il principio dell’accessione in virtu’ del quale la nuova struttura e’ divenuta anch’essa di proprieta’ del condominio ex art. 934 c.c.. Essendosi trattato, dunque, della costruzione di un manufatto insistente su uno spazio condominiale ed incorporante preesistenti parti comunicale a dire di una innovazione additiva di beni appartenenti a tutti i condomini, le norme in base alle quali la controversia deve essere decisa non sono quelle sulle distanze, di cui all’art. 873 c.c. e segg. bensi’ quelle in materia di comunione e di condominio, segnatamente gli artt. 1102 e 1120 c.c..
Il motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.
Con il secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1120 e 1108 c.c., con connessa carenza e contraddittorieta’ di motivazione su punti decisivi della controversia, censurandosi le argomentazioni, menzionate sub 4) in narrativa, perche’, pur dando atto che le opere in contestazione, costituenti atti eccedenti l’ordinaria manutenzione, integravano una violazione, sia pur parziale, del diritto dei comproprietari dello stabile, nell’escludere tuttavia e contraddittoriamente che le stesse non alteravano la sostanza della cosa comune, ne’ l’essenza funzionale e strutturale, non ne modificavano la destinazione, al piu’ consentendone un uso piu’ proficuo da parte di chi, comproprietaria per due terzi, le aveva poste in essere, avrebbero impropriamente fatto riferimento all’art. 1120 c.c., mentre invece il criterio per stabilire la legittimita’ di tali opere avrebbe dovuto rinvenirsi nell’art. 1102 c.c.. Ed anche al fine di stabilire la legittimita’ delle innovazioni sotto il profilo dell’art. 1108 cit., la motivazione sarebbe stata inadeguata e non rispettosa del dettato normativo, considerato che solo le innovazioni comportanti il miglioramento della cosa o l’uso piu’ comodo o redditizio della stessa possono essere adottate a maggioranza dei condomini, mentre per quelle pregiudicanti, come nella specie, gli interessi di uno o piu’ comunisti, sarebbe stato necessaria l’unanimita’.
Il motivo e’ fondato nei termini di seguito precisati.
L’uso e le modificazioni della cosa comune, secondo il principio fondamentale al riguardo dettato dall’art. 1102 c.c., comma 1, non possono comportare alterazioni della destinazione della stessa, ne’ impedire agli altri partecipanti di farne parimente uso; e di tale principio, in tema di condominio negli edifici, costituisce espressione l’art. 1120 c.c., che, dopo aver previsto la possibilita’ di disporre a maggioranza dei condomini tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso piu’ comodo o al miglior rendimento delle cose comuni, vieta tuttavia quelle che possano comportare impedimento all’uso o al godimento anche da parte di un solo condomino.
Tale principio che si riconnette, a quello in via generale desumibile dall’art. 1108 c.c., comma 1, u.p., che pur prevedendo, in materia di comunione, la possibilita’ da parte di una maggioranza rappresentativa dei due terzi del valore complessivo della cosa comune, di disporre tutte le innovazioni come sopra finalizzate, pone quale limite a tale facolta’ la condizione che esse non pregiudichino il godimento di alcuno dei partecipanti.
Nel caso di specie la corte di merito ha ritenuto che la societa’ convenuta, in quanto titolare di oltre due terzi della proprieta’ dell’immobile, potesse disporre le innovazioni in questione, in quanto le stesse, sebbene integranti "almeno in parte" una violazione del "diritto dei comproprietari dello stabile", non avrebbero alterato "la sostanza della cosa comune", ne’ "l’essenza funzionale", ma avrebbero "tutt’al piu’" consentito un "uso piu’ proficuo della cosa da parte di chi tali opera ha posto in essere". Ma tali considerazioni, oltre a porsi in illogico contrasto con la premessa della sussistenza di una, sia pur parziale, violazione del diritto degli attori, non sono state meglio spiegate dai giudici di appello, i quali, pur a fronte delle specifiche doglianze degli E., deducenti concreti pregiudizi nelle possibilita’ di agevole accesso ai propri appartamenti, in precedenza consentiti dalle passerelle e dai manufatti accessori alle stesse (scale, ringhiere) ed alterazione funzionale del piazzale, che era stato coperto, non hanno dato conto delle specifiche ragioni in base alle quali ne hanno ritenuto l’insussistenza o irrilevanza, cosi’ eludendo, con affermazioni palesemente apodittiche, l’obbligo della motivazione su un punto decisivo della controversia, imponente di accertare se le innovazioni poste in essere dalla societa’ convenuta concretassero un impedimento o una diminuzione del godimento della cose comuni, segnatamente del piazzale interposto tra il fabbricato ed il muro di contenimento del rilevato stradale e delle gia’ sovrastanti passerelle, con le accessorie strutture, in danno degli attori.
Il motivo va pertanto accolto.
Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2946 c.c., con connessa carenza e contraddittorieta’ di motivazione, con riferimento al rigetto del capo di domanda relativo alla lamentata rimozione dei tubi e del filo di cui sub 3) in narrativa, statuizione che si sarebbe risolta nell’indebita a applicazione di una prescrizione estintiva, non eccepita, ne’ ipotizzabile, sia in mancanza di inequivocabili indici di dismissione del possesso o di rinunzia da parte dei titolari, sia perche’ l’ipotizzata inerzia sarebbe durata solo tre anni, dal 1992 al 1995, dall’inizio della mancata utilizzazione dell’impianto a quello della causa.
Anche tale motivo di ricorso e’ fondato.
Si e’ trattato, in questo caso, dell’avvenuta rimozione, di cui la corte di merito pur ha dato atto rilevando una "palese violazione del diritto degli appellati", di beni di proprieta’ esclusiva degli E., facenti parti di impianti a servizio dei soli appartamenti dei medesimi.
La mancanza di un uso attuale di tali impianti non poteva, di per se’, comportare l’infondatezza della pretesa di ripristino, costituendo l’esercizio della proprieta’ (nella specie esclusiva) una facolta’ insindacabile del proprietario e non potendo tale diritto estinguersi per non uso.
Tanto premesso, la circostanza che gli impianti in questione non fossero stati usati per alcuni anni era del tutto priva di rilevanza al fine di escludere la sussistenza della violazione del diritto dominicale posta in essere dalla convenuta, neppure sotto il profilo della carenza dell’interesse ad agire a fini restitutori, dovendosi tale condizione preliminare dell’azione valutare non alla stregua di parametri economici o di mera opportunita’, bensi’ solo sotto il profilo unico rilevante ai fini dell’art. 100 c.p.c., dell’attitudine della richiesta pronunzia giudiziale ad arrecare un vantaggio giuridicamente rilevante alla parte istante o a rimuovere un pregiudizio al diritto della stessa. E tale pregiudizio, come la stessa corte territoriale non ha potuto fare a meno di rilevare, si era nella specie concretato, mediante la rimozione dei suddetti beni dalla sede in cui si trovavano, senza il consenso degli aventi diritto, poco o punto rilevando che gli stessi non ne facessero uso all’attualita’, posto che tale utilizzazione avrebbe potuto comunque riprendere in qualsiasi momento a discrezione dei medesimi.
La sentenza impugnata va, conclusivamente, cassata in relazione ai due motivi accolti, con conseguente rinvio per nuovo giudizio alla Corte d’Appello piu’ vicina, quella di Napoli, cui si demanda anche il regolamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo ed il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Napoli.
Cosi’ deciso in Roma, il 14 ottobre 2009.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2009