Con ricorso notificato l’11 novembre 2008, e depositato il 5 dicembre successivo, la Tintoria Rifinizione Nuove Idee S.p.A. – premesso di aver usufruito per gli anni dal 2000 al 2003 delle agevolazioni riconosciute sotto forma di credito d’imposta, in favore delle imprese esercenti attività industriale diretta alla produzione di beni e servizi, dall’art. 13 del D.L. n. 79/97, convertito con modificazioni in legge n. 140/97 – proponeva impugnazione avverso il decreto dirigenziale n. 2848 del 6 giugno 2008, mediante il quale la Regione Toscana, all’esito di verifiche condotte dalla Guardia di Finanza, aveva disposto nei suoi confronti la parziale revoca del beneficio, nonché avverso la consequenziale richiesta regionale di pagamento di euro 38.200,56. La società ricorrente, intimata in giudizio l’amministrazione procedente, affidava le proprie doglianze a quattro motivi in diritto e concludeva per l’annullamento degli atti impugnati, nonché per la condanna della controparte alla restituzione della somma predetta, frattanto versata alla Regione in ossequio all’intimazione ricevuta.
Costituitasi in giudizio la Regione Toscana, che resisteva al gravame, la causa veniva discussa e trattenuta per la decisione nella pubblica udienza del 26 ottobre 2010, preceduta dal deposito di documenti e memorie difensive.

DIRITTO
1. La ricorrente Tintoria Rifinizione Nuove Idee S.p.A., impresa industriale da anni operante nel campo del finissaggio di prodotti tessili, ha chiesto ed ottenuto – per gli anni dal 2000 al 2003 – le agevolazioni previste dall’art. 13 D.L. n. 79/97, convertito in legge n. 140/97, sotto forma di credito di imposta calcolato in misura percentuale sull’importo delle spese per l’attività di ricerca industriale e di sviluppo. A seguito di verifiche ed accertamenti eseguiti dalla Guardia di Finanza, la Regione Toscana, con decreto dirigenziale n. 2848 del 6 giugno 2008, ha disposto la parziale revoca di quei benefici, reputando non integralmente ammissibili all’agevolazione alcune delle spese certificate dalla ricorrente, e segnatamente: i costi per il personale relativi al bando per l’anno 2002, limitatamente alle ore lavorative per persona eccedenti la soglia-limite di 1850; i costi per attività innovativa e di ricerca relativi, ancora una volta, al bando per il 2002, ove non supportati da contratti di consulenza e comunque ove attinenti al deposito di brevetti; i costi per consulenze relativi ai bandi per il 2000, il 2001 ed il 2003, non supportati da regolari contratti.
1.1. L’impugnazione ha per oggetto il provvedimento di revoca dianzi citato, unitamente alla successiva richiesta di pagamento, in esecuzione della quale la ricorrente ha corrisposto alla Regione Toscana l’importo di euro 38.200, 56, dei quali in questa sede è chiesta la restituzione.
2. In via pregiudiziale, deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice adito, sollevata dalla difesa regionale. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza civile ed amministrativa in materia di sovvenzioni da parte della P.A., dal quale non vi sono motivi per discostarsi, la posizione del privato nella fase procedimentale successiva al provvedimento attributivo del beneficio assume la consistenza del diritto soggettivo ogniqualvolta si faccia questione della conservazione della disponibilità della somma percepita di fronte alla contraria posizione adottata dall’amministrazione con provvedimenti variamente definiti (revoca, decadenza, risoluzione), ed assunti per ragioni concernenti le modalità di utilizzazione del contributo ed il rispetto degli impegni assunti dal beneficiario; di contro, la posizione è di interesse legittimo laddove si faccia questione della ammissibilità del privato al beneficio, ed i poteri esercitati dall’amministrazione – anche successivamente all’erogazione del contributo – assumano, pertanto, il carattere dell’autotutela (da ultimo, per tutte, cfr. Cons. Stato, sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 3). E poiché, nella specie, la motivazione del provvedimento di ritiro attiene proprio alla originaria inammissibilità delle spese attestate, trattandosi perciò di verificare non se le risorse pubbliche siano state destinate agli impieghi previsti, ma se, ed in quale misura, la odierna ricorrente avesse effettivamente titolo ad avvalersi dello speciale credito d’imposta disciplinato dall’art. 13 D.L. n. 79/97, non può dubitarsi che la controversia ricada nella giurisdizione del giudice amministrativo.
3. Nel merito, con il primo motivo si sostiene che la revoca, relativamente alla quota di contributo riferibile al bando per l’anno 2000, sarebbe intervenuta oltre il termine prescrizionale di quattro anni stabilito dall’art. 3 par. 1 del Regolamento comunitario 18 dicembre 1995, n. 2988.
La censura è infondata. Al riguardo, non occorre dirimere la questione circa la riferibilità del termine prescrizionale sancito dall’art. 3 del Regolamento 95/2988/CE ai soli provvedimenti a carattere sanzionatorio, ovvero anche alle misure di revoca dei contributi, giacché la ricorrente non ha fornito adeguata dimostrazione del dies a quo del termine prescrizionale, vale a dire del momento in cui essa si sarebbe avvalsa del contestato credito d’imposta: la data del 16 marzo 2001, indicata in ricorso, è infatti oggetto della dichiarazione sostitutiva allegata alle controdeduzioni presentate dalla ricorrente nel procedimento amministrativo, ed è evidente che, a prescindere dal vizio costituito dalla mancata allegazione della copia del documento di identità del sottoscrittore-dichiarante, nella presente sede giurisdizionale tale dichiarazione non può in nessun caso assurgere a valida prova di quanto ivi affermato, trattandosi di atto proveniente dalla stessa parte che ne invoca l’autorità.
4. Con il secondo motivo, si contesta innanzitutto la legittimità della soglia delle 1850 ore per persona, che la Regione ha utilizzato come limite di ammissibilità a contributo dei costi per il personale, tale limite non essendo indicato nella norma istitutiva del beneficio e neppure nelle norme secondarie attuative, e comunque ponendosi in contrasto con i valori risultanti dalla relazione sulla gestione allegata al bilancio della società. Quindi, la ricorrente deduce che i costi di brevetto, ritenuti dalla Regione inammissibili, altro non sarebbero che costi per servizi di consulenza tecnologica, come tali inclusi fra le spese ammesse al beneficio, ai sensi del punto 2.3. lett. c) della circolare ministeriale 19 luglio 1998.
Anche tale motivo è infondato.
4.1. Quanto ai costi per il personale, le deduzioni della ricorrente non attingono in alcun modo la ratio, pur chiaramente percepibile dalla motivazione del provvedimento impugnato, sottostante alla fissazione di un monte-ore annuo massimo ammissibile a contributo, e che consiste nella necessità di individuare, in fase di controllo, un parametro obiettivo cui ancorare la valutazione di congruità delle ore lavorative certificate dall’impresa. La legittimità di tale valutazione, come messo in evidenza dalla Regione Toscana, discende in primo luogo dalla ragionevolezza del parametro di riferimento prescelto, che corrisponde sostanzialmente al numero medio di ore lavorative prestate da un lavoratore dipendente nel corso di un anno, secondo un orario di quaranta ore settimanali al netto degli eventuali straordinari (coerentemente con la contrattazione collettiva di categoria); si aggiunga che l’amministrazione procedente non ha fatto applicazione rigida del criterio, ma ha ritenuto non fisiologici i soli scostamenti macroscopici dal limite delle 1850 ore, vale a dire quelli riscontrati relativamente alle posizioni dei lavoratori B. e C. (bando per l’anno 2002), i quali, secondo le attestazioni rilasciate dalla ricorrente, avrebbero prestato un numero di ore lavorative inverosimile (3.099,5 il primo, 2.810,5 il secondo), perché di gran lunga eccedente il normale orario di lavoro, anche a voler tenere conto della maggiorazione individuale per lavoro straordinario, fissata dalla contrattazione collettiva dell’epoca in un massimo di centottanta ore annue (si veda il C.C.N.L. 19 maggio 2000).
La conclamata inverosimiglianza dei dati attestati non può, poi, considerarsi superata in ragione della circostanza che i medesimi dati sul costo del personale sarebbero contenuti nella relazione sulla gestione allegata la bilancio della ricorrente: non per questo vengono meno, infatti, le considerazioni espresse in merito alla scarsa attendibilità di quei dati, oltre al rilievo, ancora una volta, dell’inidoneità della relazione – per inciso, non prodotta in giudizio – a costituire elemento di prova a supporto dell’impugnazione, in quanto atto proveniente dagli amministratori della ricorrente stessa.
4.2. Quanto, invece, ai costi di brevetto, il collegio ritiene del tutto condivisibile la loro esclusione dal novero delle spese ammissibili al contributo. Letteralmente intesa, l’espressione "consulenza tecnologica" identifica, infatti, quell’attività avente ad oggetto la prestazione di pareri attinenti allo studio di procedimenti tecnici applicati, nel caso di specie, all’industria tessile, studio che può culminare in un’invenzione brevettabile, se nuova e frutto di attività inventiva (art. 45 D.Lgs. n. 30/05); tutta l’attività successiva, volta alla predisposizione della domanda di brevetto, previa l’eventuale verifica dei presupposti per la brevettabilità, presuppone l’avvenuto completamento del percorso che conduce alla scoperta tecnologica, rispetto alla quale si colloca in posizione strumentale: ancorché particolarmente qualificata, essa tende in definitiva ad assicurare al titolare dell’invenzione gli effetti derivanti dalla concessione del brevetto, e non è dunque assimilabile alla ricerca industriale (che costituisce l’obiettivo dichiarato degli aiuti apprestati dall’art. 13 D.L. n. 79/97 cit.), ma ricade, piuttosto, nell’ambito delle prestazioni di servizi.
5. Con il terzo motivo, viene dedotta l’illegittimità dei rilievi svolti dalla Regione in ordine alla mancanza dei contratti di consulenza a giustificazione dei relativi costi, sostenendosi che ciascuna domanda di accesso al contributo sarebbe stata corredata della documentazione richiesta.
Neppure tale censura merita accoglimento.
Nel provvedimento impugnato si legge che la parziale inammissibilità a contributo delle spese di consulenza certificate dalla Tintoria Rifinizione Nuove Idee sarebbe dipesa dalla mancata produzione dei relativi contratti (bando 2002), ovvero dalla produzione di contratti mancanti degli elementi essenziali (bandi 2000, 2001, 2003); e la correttezza delle verifiche svolte dall’amministrazione è confermata dalla stessa documentazione prodotta in giudizio dalla ricorrente (sub 9), e costituita da contratti sottoscritti per accettazione dal consulente, ma privi della sottoscrizione del (rappresentante del)la società conferente l’incarico, senza che il difetto di sottoscrizione – percepibile ictu oculi, il che rende superflua qualsiasi aggiunta ai fini dell’adeguatezza della motivazione – possa considerarsi supplito in ragione della identità soggettiva fra consulente e legale rappresentante della società. Anche a voler ritenere che anche la domanda di ammissione per il bando 2002 fosse formalmente completa, ciò che rileva è l’inidoneità sostanziale dei documenti allegati dall’interessata a dimostrare – attraverso la sottoscrizione di entrambe le parti contraenti – il perfezionamento dei contratti di consulenza e, conseguentemente, a giustificarne l’ammissione al beneficio, e questo vale per ciascuna delle annualità di cui è causa.
6. Con il quarto motivo, infine, la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90, sotto i profili della incompletezza della motivazione e della sua incoerenza rispetto alle risultanze istruttorie, della mancata messa a disposizione degli atti richiamati, nonché della mancata indicazione del termine entro il quale ricorrere e dell’autorità cui rivolgersi. Il motivo è assolutamente generico, e perciò inammissibile, quanto ai primi due aspetti; esso è comunque infondato, in forza delle considerazioni suesposte, per quel che attiene alle specifiche carenze motivazionali denunziate con i primi tre motivi.
Circa la mancata indicazione dei termini per impugnare e dell’autorità competente sui ricorsi, è invece sufficiente osservare che, per giurisprudenza del tutto pacifica, essa non determina alcuna invalidità, ma può, al più, legittimare la rimessione in termini nell’ipotesi – che qui non ricorre – di ritardo nell’impugnativa.
7. Alla luce di tutta quanto precede, la domanda di annullamento proposta dalla società ricorrente è infondata e va respinta; resta assorbito l’esame della connessa (consequenziale) domanda restitutoria, della cui ammissibilità nel presente giudizio sembra peraltro doversi dubitare, in ossequio agli illustrati criteri di riparto della giurisdizione.
Le spese di lite seguono la soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 2.000,00, oltre al rimborso forfettario delle spese generali, ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Firenze nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Maurizio Nicolosi, Presidente
Ivo Correale, Primo Referendario
Pierpaolo Grauso, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 30 DIC. 2010.