Con citazione notificata il 9 febbraio 1999, l’amministratore del Condominio di (OMISSIS), conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Torino, la Alpignano Coppe snc, esponendo che il sig. D.G.E., a far data dal mese di (OMISSIS), conduceva in locazione un locale, di proprietà della Alpignano Coppe snc, sito in (OMISSIS), nel quale aveva aperto un circolo privato denominato " (OMISSIS)"; che ciò aveva comportato pregiudizi per i restanti condomini a causa degli schiamazzi degli avventori e delle immissioni di odori sgradevoli dalle cucine; che il regolamento condominiale, all’art. 12, vietava l’indicata destinazione dei locali; che, pur se l’assemblea condominiale del 29 giugno 1998 aveva respinto l’istanza del D.G. di aprire un circolo privato, egli aveva invece proceduto all’apertura. Tanto premesso, il Condominio ricorrente chiedeva che la convenuta fosse condannata a cessare la destinazione abusiva dei locali e a risarcire i danni patiti dal condominio.
Costituitosi il contraddittorio, la Alpignano Coppe snc contestava la domanda e chiedeva comunque la chiamata in causa del D.G. ex artt. 102 e 107 cod. proc. civ..
Autorizzata la chiamata, il terzo si costituiva deducendo di non essere stato a conoscenza dell’art. 12 del regolamento condominiale e che comunque l’attività di bar-ristorazione in questione aveva ottenuto le autorizzazioni comunali e non comportava alcuno degli usi vietati dal regolamento.
Istruita la causa anche a mezzo di ctu, il Tribunale di Torino, con sentenza in data 3 luglio 2001, respingeva le domande del Condominio, che condannava al rimborso delle spese processuali in favore sia della convenuta che del chiamato in causa.
Proponeva appello il Condominio e, ricostituitosi il contraddittorio, la Corte d’appello di Torino, con sentenza in data 28 gennaio 2004, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava che l’attività svolta nei locali di proprietà della Alpignano Coppe snc era vietata dal regolamento condominiale e condannava gli appellati a cessare detta attività, nonchè a rimborsare all’appellante le spese di entrambi i gradi di giudizio.
La Corte, dopo aver ricordato i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine ai rapporto tra regolamenti condominiali e attività consentite ai condomini nelle singole unità immobiliari, nel senso che i divieti e i limiti possono essere formulati nei regolamenti sia mediante la elencazione delle attività vietate, sia mediante il riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare, riteneva che l’art. 12 del regolamento condominiale contenesse un vero e proprio divieto di svolgimento dell’attività in concreto svolta dalla società Alpignano Coppe. Il regolamento prevedeva infatti che i condomini non potessero fare uso della proprietà individuale "in contrasto con la moralità, la tranquillità e il decoro della casa" essendo in particolare vietato di "destinare i locali dell’edificio ad uso albergo, pensione, sale di società per trattenimenti e gioco".
La Corte territoriale rilevava quindi che, per statuto, la società appellata aveva lo scopo di promuovere e gestire attività culturali, turistiche, ricreative, motorio-sportive, assistenziali, proponendosi in particolare di ritrovarsi in un locale aperto all’intrattenimento societario, potendo, per raggiungere i propri fini, creare strutture proprie ovvero utilizzare quelle esistenti sul territorio.
Rilevava altresì che dalla istruttoria espletata era emerso che il circolo costituiva luogo di ritrovo, di aggregazione e di trattenimento di un numero indefinito di persone, che accedevano liberamente e si trattenevano nei locali, svolgendovi attività di conversazione, di gioco di carte e di dama, e di ascolto della radio e della televisione, usufruendo anche del servizio di somministrazione di cibo e bevande. In sintesi, dalla espletata istruttoria, era emerso che nei locali era stata svolta un’attività conforme a quella descritta nello statuto come "ricreativa", pienamente rientrante in quella che, con la diversa formulazione di "sala di società per trattenimenti e giochi", il regolamento condominiale vietava.
Nè una simile conclusione poteva essere contrastata dal fatto che il circolo era aperto durante i giorni feriali fino alle ore 19-20 e solo il sabato e la domenica fino alle ore 22-23; che l’attività era svolta con il rispetto delle ordinarie regole di civile convivenza e che al circolo avevano accesso solo i soci, posto che per diventare soci non erano prescritti requisiti particolari. Ne, proseguiva la Corte, poteva rilevare il fatto che le attività svolte nel circolo non fossero diverse da quelle che avrebbero potuto essere svolte nelle mura domestiche, posto che ciò che connotava il locale come sala di società era la possibilità di libero accesso, di frequentazione e di permanenza da parte di una moltitudine indefinita di persone durante tutto il periodo di apertura al pubblico.
In sostanza, la Corte riteneva che l’attività svolta nel circolo rientrasse tra quelle espressamente vietate dal regolamento condominiale; e ciò escludeva la necessità di verificare se in concreto detta attività arrecasse i pregiudizi alla tranquillità e alla moralità che il condominio aveva inteso evitare.
Per la cassazione di questa sentenza hanno proposto autonomi ricorsi sia D.G.E., sulla base di due motivi, illustrati da memoria, sia la Alpignao Coppe snc, articolando anch’essa due motivi;
l’intimato Condominio non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei due ricorsi, in quanto rivolti avverso la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).
Con il primo motivo, il ricorrente D.G. lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e ss. cod. civ..
Il ricorrente ricorda che l’art. 12 del regolamento condominiale dispone che i condomini non possono utilizzare i locali oggetto di proprietà esclusiva "in contrasto con la moralità, la tranquillità e il decoro della casa stessa. E’ perciò vietato destinare i locali dell’edificio ad uso albergo, pensione, sale di società per trattenimento e gioco (…) scuole di musica, canto o ballo, attività rumorose o comunque pericolose". Ritiene quindi che la Corte d’appello abbia violato i canoni ermeneutici posti dal citato art. 1362 cod. civ., laddove ha ritenuto che nel caso di specie il Condominio abbia adottato sia il criterio della individuazione delle attività espressamente vietate, sia quello della idoneità delle attività in concreto svolte ad arrecare i pregiudizi che si intende invece evitare.
Al contrario, dalla semplice lettura della norma regolamentare e dall’avverbio "perciò", si sarebbe dovuto desumere che il regolamento abbia inteso strettamente legare la prima parte della disposizione alla seconda, nel senso che le attività da ritenersi vietate a termini di regolamento devono tutte e necessariamente avere il comune denominatore della contrarietà con la moralità, la tranquillità e il decoro del condominio. L’avverbio "perciò", infatti, ha una portata chiaramente esplicativa, chiarificatrice e induce quindi a ritenere che l’elencazione non rappresenti un criterio a sè stante e che abbia invece uno scopo meramente esemplificativo. L’esclusione della opzione per il criterio misto, del resto, sarebbe resa evidente dal rilievo che l’art. 12, comma 2 fa riferimento ad attività rumorose e comunque pericolose, espressioni, queste, che certamente non sarebbero state utilizzate se alla indicazione contenuta nella norma regolamentare si fosse voluto riconoscere la portata di vietare espressamente dette attività.
Risulterebbe quindi evidente la violazione, da parte della sentenza impugnata, anche dell’art. 1363 cod. civ., il quale impone al giudice di interpretare le clausole l’una per mezzo delle altre, attribuendo alle stesse il senso risultante dal complesso dell’atto. In particolare, poi, per accertare se una determinata attività potesse essere configurata come sala di trattenimento, sarebbe stato necessario individuare quale fosse la concreta destinazione della stessa.
in ogni caso, osserva la ricorrente, la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 1362 cod. civ., in quanto l’art. 12 citato, insuscettibile di interpretazione estensiva, non prevedeva che l’attività svolta dal circolo rientrasse espressamente tra quelle vietate dal comma 2. Al contrario, la Corte d’appello ha identificato l’attività svolta dal circolo quale vera e propria sala di trattenimento e gioco, alla luce delle finalità del circolo come delineate dallo statuto. Ha delle molteplici finalità statutarie, la Corte ha valorizzato quella delle attività ricreative e ha identificato tale attività con quella della sala di trattenimento e di gioco sulla base di criteri discutibili. Innanzitutto, il criterio letterale non avrebbe dovuto indurre ad una simile equiparazione, tenuto conto che il regolamento condominiale era stato predisposto circa trenta anni prima. Inoltre, delle molte attività statutariamente previste, nessuna presenta i caratteri della pericolosità e della rumorosità, indicati dall’art. 12 come caratteristici delle attività vietate. Nè le attività statutariamente previste sono assimilabili a quelle che si svolgono in alberghi e pensioni o bar. In sostanza, nel ritenere che la volontà negoziale sottostante alla disposizione regolamentare fosse quella di impedire genericamente che all’interno delle proprietà esclusive si svolgessero iniziative atte a consentire l’accesso, la frequentazione e la libera permanenza da parte di una moltitudine indefinita di persone, la Corte territoriale avrebbe travisato la portata della disposizione stessa, la quale, nel vietare l’insediamento di società di trattenimento e gioco, chiaramente intendeva riferirsi ad attività quali il gioco d’azzardo o le scommesse, e cioè attività caratterizzate da una marcata immoralità e da una maggior riprovevolezza a livello sociale. E del resto, nel condominio risulta essere presente anche un bar, e cioè un esercizio che, seguendo l’interpretazione data dalla Corte d’appello alla disposizione regolamentare, avrebbe dovuto essere ritenuto non consentito o vietato dal regolamento condominiale.
Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 116 e ss. cod. proc. civ., dell’art. 12 del regolamento condominiale e vizio di motivazione insufficiente o contraddittoria.
La Corte d’appello avrebbe errato nella valutazione delle prove, nel senso che, mentre dall’istruttoria espletata era emerso che l’attività principale svolta nei locali del circolo era quella di ristorazione e di intrattenimento della clientela con il gioco delle carte o la visione di alcuni programmi televisivi, la sentenza impugnata ha svilito proprio l’attività di ristorazione, certamente non vietata dal regolamento condominiale.
Il ricorrente, da ultimo, si duole della mancata ammissione dei mezzi istruttori volti a dimostrare l’esistenza, nel medesimo condominio, del bar (OMISSIS).
Sulla base di argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili, la ricorrente Alpignano Coppe snc, con il primo motivo, lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 e ss. cod. civ., nonchè il vizio di insufficiente ed illogica motivazione, e, con il secondo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 116 e ss.
cod. proc. civ., dell’art. 12 del regolamento condominiale e vizio di motivazione insufficiente e contraddittoria.
I ricorsi, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente in considerazione della connessione delle censure proposte, sono infondati.
Occorre premettere, in linea generale, che "L’interpretazione di un regolamento contrattuale di condominio da parte del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità, quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione" (Cass., n. 9355 del 2000). "Nè consegue che il ricorrente per cassazione che denunzi un vizio di motivazione della sentenza sotto il profilo dell’omesso e errato esame di una disposizione del regolamento di condominio, deve precisare specificamente nel ricorso, non solo il contenuto del regolamento, almeno nelle parti salienti, ma anche, sia pure in maniera sintetica, quali regole di ermeneutica sono state violate, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività del preteso errore" (Cass., n. 1406 del 2007).
Ritiene il Collegio che la Corte d’appello, nel ritenere che lo svolgimento dell’attività del (OMISSIS) fosse vietata dall’art. 12 del regolamento del condominio di (OMISSIS), sia immune dai denunciati vizi di violazione di legge e di motivazione.
E’ innanzitutto indiscutibile che la Corte territoriale ha, nel caso di specie, fatto applicazione del principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui "i divieti e le limitazioni di destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, come i vincoli di una determinata destinazione ed il divieto di mutare la originaria destinazione, posti con il regolamento condominiale predisposto dall’originario proprietario ed accettati con l’atto d’acquisto, devono risultare da una volontà chiaramente ed espressamente manifestata nell’atto o da una volontà desumibile, comunque, in modo non equivoco dall’atto stesso, e non è certamente sufficiente, a tal fine, la semplice indicazione di una determinata attuale destinazione delle unità immobiliari medesime, trattandosi di una volontà diretta a restringere facoltà normalmente inerenti alla proprietà esclusiva da parte dei singoli condomini. I divieti e le limitazioni di cui sopra possono essere formulati nel regolamento sia mediante la elencazione delle attività vietate (in tal caso, al fine di stabilire se una determinata destinazione sia vietata o limitata, basterà verificare se la destinazione stessa sia inclusa nell’elenco) sia mediante riferimento ai pregiudizi che si ha intenzione di evitare (in questo secondo caso, naturalmente, al fine suddetto, è necessario accertare la idoneità in concreto della destinazione contestata a produrre gli inconvenienti che si vollero evitare)" (Cass., n. 1560 del 1995; Cass., n. 9564 del 1997; Cass., n. 11126 del 1994).
Secondo la Corte d’appello, la clausola regolamentare che veniva in discussione faceva applicazione del cosiddetto criterio misto, nel senso che essa individuava sia le finalità al perseguimento delle quali la predisposizione del divieto era strumentale, sia alcune attività che dovevano ritenersi espressamente vietate, a prescindere dalla concreta sussistenza di elementi tali da far ritenere compromesse le finalità perseguite con il divieto di destinazione delle unità immobiliari di proprietà esclusiva.
La clausola, secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata e da entrambi i ricorsi, risulta così formulata: "I condomini, pur essendo investiti di tutti i privilegi della proprietà, non potranno fare uso in contrasto con la moralità, la tranquillità ed il decoro della casa stessa. E’ perciò vietato destinare i locali dell’edificio ad uso albergo, pensione, sale di società per trattenimento e gioco (…), di scuole di musica, canto e ballo, di attività rumorose o comunque pericolose".
La Corte territoriale ha affermato che, "poichè nel regolamento del Condominio attore sono stati utilizzati entrambi i criteri di individuazione delle attività vietate, deve ritenersi da un lato che l’elenco delle attività vietate(,) non sia tassativo, e che il divieto si estenda anche a tutte le destinazioni non espressamente menzionate, che siano comunque idonee a provocare i pregiudizi che si intendono evitare; e dall’altro che tutte le attività specificamente indicate siano di per sè vietate, senza necessità di verificare in concreto l’idoneità a recare i pregiudizi suddetti.
Opinando in tal modo, la Corte d’appello non ha violato alcun canone ermeneutico, e in particolare non quello di cui all’art. 1362 cod. civ., nè quello di cui all’art. 1363 cod. civ..
Quanto al primo, si deve rilevare che, secondo la Corte d’appello, la individuazione delle attività vietate non era tassativa. La pretesa di entrambi i ricorrenti che dalla utilizzazione, nel regolamento, della espressione "perciò", che precede la elencazione delle attività vietate, si sarebbe dovuto desumere il carattere meramente esemplificativo della tipologia delle attività, che sarebbero vietate solo in quanto in concreto contrastanti con le finalità che il divieto intende perseguire, non può essere condivisa. Tanto la sentenza impugnata quanto i ricorrenti, infatti, muovono dalla considerazione che la elencazione delle attività vietate non sarebbe tassativa, ma solo esemplificativa. Sulla base di tale premessa, peraltro, mentre la Corte d’appello ha ritenuto che il regolamento abbia optato per un criterio misto, i ricorrenti sostengono che, invece, la interpretazione corretta sarebbe nel senso che le attività esemplificativamente menzionate in tanto sarebbero vietate in quanto si svolgano con modalità tali da porsi in contrasto con la moralità, la tranquillità ed il decoro del condominio.
Si tratta, come è agevole constatare, della contrapposizione di una diversa interpretazione a quella prescelta dal giudice del merito, nel compito istituzionalmente demandatogli di interpretare gli atti di autonomia privata, e quindi di una pretesa che, lungi dal denunciare la violazione di un canone ermeneutico, si risolve nella richiesta di una nuova valutazione della volontà delle parti, il che non è consentito in sede di legittimità.
Quanto alla denunciata violazione del canone di cui all’art. 1363 cod. civ., secondo il quale le clausole di un contratto devono essere interpretate le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto, deve rilevarsi che, del pari, la stessa non sussiste. Secondo i ricorrenti, la violazione consisterebbe in ciò che, avendo l’art. 12 espressamente menzionato tra le attività vietate quelle rumorose o comunque pericolose, il significato da attribuire alla esplicita menzione delle attività vietate non poteva essere quello ad essa attribuito dalla Corte d’appello, dovendosi anzi ritenere che in tanto una determinata attività, ancorchè espressamente prevista, poteva considerarsi vietata, in quanto la stessa si ponesse in contrasto con la moralità la tranquillità ed il decoro della casa stessa.
A ben vedere, l’argomento non coglie nel segno. Il fatto che il regolamento condominiale abbia incluso tra quelle vietate un’attività genericamente qualificata per essere rumorosa e comunque pericolosa non comporta in alcun modo la conseguenza che tutte le attività espressamente indicate nella medesima disposizione debbano avere il medesimo contenuto di genericità. E tale è stato il convincimento della Corte d’appello la quale, sulla base di una interpretazione del regolamento condominiale e dello statuto del circolo, immune dai denunciati vizi, è pervenuta a ritenere l’attività svolta da quest’ultimo rientrante in quella, specificamente indicata come vietata, della destinazione di un locale di proprietà esclusiva a "sala di società per trattenimenti e gioco". Ha, a ben vedere, la stessa previsione che siano vietate attività rumorose o comunque pericolose non comporta affatto la indeterminatezza del divieto e la necessità di poterlo configurare solo attraverso il collegamento con le finalità, perseguite dal regolamento, di tutela della moralità, della tranquillità ed del decoro dell’edificio. Tale previsione, contrariamente a quanto sostenuto dai ricorrenti, non solo non vale ad escludere la portata precettiva della indicazione delle attività vietate, ma è previsione che di per se possiede una attitudine individualizzante, potendosi porre unicamente un problema di accertamento in concreto della rumorosità o della pericolosità dell’attività stessa, ma senza che possa in alcun modo istituirsi un collegamento tra rumorosità o pericolosità e contrasto con la moralità, la tranquillità ed il decoro della casa stessa.
La questione si sposta, quindi, sul piano dell’apprezzamento delle attività svolte presso i locali del Circolo privato. In proposito, la Corte d’appello, con motivazione adeguata e congrua dal punto di vista logico, ha preso le mosse dagli scopi perseguiti, sulla base del proprio statuto, dal Circolo stesso, indicati nel "promuovere e gestire attività culturali, turistiche, ricreative, motorio- sportive, assistenziali …" e nel proporsi di "ritrovarsi in un locale aperto all’intrattenimento societario", con la previsione che, ®per raggiungere i suoi fini può creare strutture proprie ovvero utilizzare quelle esistenti sul territorio; può promuovere direttamente lo sviluppo delle iniziative culturali, turistiche, sportive, ambientalistiche; e contribuire alla realizzazione di progetti … nel quadro di una programmazione delle attività, del tempo libero e dello sport". Ha quindi rilevato che, come anche riconosciuto dal giudice di primo grado, dalla istruttoria orale era emerso che il circolo "costituisce luogo di ritrovo, di aggregazione e di trattenimento di un numero indefinito di persone, che accedono liberamente e si trattengono nei locali, svolgendovi attività di conversazione, di gioco di carte e di dama, e di ascolto della radio e della televisione, usufruendo anche del servizio di somministrazione di cibo e bevande". Ha pertanto ritenuto che tale complesso di attività, e le modalità di svolgimento delle stesse, integrassero quella che, "con espressione desueta ma chiara, nel regolamento condominiale è indicata come sala di società per trattenimenti e gioco".
La Corte d’appello ha infine osservato che una simile conclusione non poteva ritenersi contrastata dal rilievo che il circolo era aperto durante i giorni feriali fino alle ore 19-20 e solo il sabato e la domenica fino alle ore 22-23; che l’attività era svolta con il rispetto delle ordinarie regole di civile convivenza e che al circolo avevano accesso solo i soci, posto che per diventare soci non erano prescritti requisiti particolari. Nè poteva rilevare il fatto che le attività svolte nel circolo non fossero diverse da quelle che avrebbero potuto essere svolte nelle mura domestiche, posto che ciò che connotava il locale come sala di società era la possibilità di libero accesso, di frequentazione e di permanenza da parte di una moltitudine indefinita di persone durante tutto il periodo di apertura al pubblico.
Si tratta, all’evidenza, di accertamenti di fatto, basati sulle risultane della prova testimoniale assunta nel corso del giudizio di primo grado, ai quali i ricorrenti oppongono una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, sottolineando come il primo giudice avesse accertato la prevalenza dell’attività di ristorazione rispetto a quella di intrattenimento o di gioco svolta nei locali del circolo. Ma si tratta di rilievo che, da un lato, non risulta corredato dalla riproduzione delle deposizioni assunte nel corso del giudizio di primo grado o della consulenza tecnica d’ufficio, del pari espletata nel corso di quel giudizio, che attesterebbero la indicata prevalenza; dall’altro, si risolve in una inammissibile richiesta di diversa valutazione di circostanze di fatto, tutte considerate dal giudice di merito e apprezzate sulla base di una motivazione logica ed immune da lacune.
Si deve solo aggiungere che la censura svolta dai ricorrenti, e in modo particolare dalla difesa del D.G., secondo cui la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che nello stabile condominiale vi era un bar, e che quindi la volontà espressa nel regolamento condominiale non poteva essere quella di considerare vietate attività di ristorazione, quale quella svolta prevalentemente nei locali del circolo, non tiene a sua volta conto della diversità tra le attività che possono essere svolte dal circolo privato, sulla base del suo statuto, e quelle tipiche svolte da un bar, rientrante nella tipologia dell’esercizio pubblico, oggetto di regolamentazione da parte delle autorità competenti, sicchè la mancata previsione, nella norma regolamentare, tra le attività vietate, di quelle degli esercizi pubblici, correttamente è stata implicitamente ritenuta dalla Corte d’appello non conducente ne ai fini della interpretazione della stessa disposizione regolamentare, nè ai fini della valutazione delle risultanze della prova testimoniale assunta nel corso del giudizio.
Entrambi i ricorsi vanno quindi rigettati.
Non avendo l’intimato Condominio svolto attività difensiva, non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte suprema di cassazione, il 1 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 18 settembre 2009