In esito a giudizio tenuto nelle forme del rito abbreviato, il GUP- Tribunale di Trento ha dichiarato, con sentenza 5 ottobre 2007, la penale responsabilità di P.A. in ordine al reato di danneggiamento, per avere costui aperto un varco nel muro comune ad altri condomini allo scopo di mettere in comunicazione la propria cantina con l’andito di ingresso dell’edificio condominiale.
– Il detto giudice ha osservato che quel varco aveva dato luogo ad una modificazione strutturale e – funzionale dell’immobile e che, pertanto, ricorrevano gli estremi del delitto in addebito.
Con il ricorso diretto per cassazione, il difensore dell’imputato propone due motivi di doglianza. L’imputato, si sostiene, in quanto comproprietario del muro, aveva diritto ad aprirvi un varco a favore della sua proprietà singola, quale attuazione delle sue facoltà di uso della cosa comune, ex art. 1102 c.c.. In ogni caso, si aggiunge, l’aver esercitato il citato diritto da luogo alla scriminante di cui all’art. 51 c.p.. Si chiede l’annullamento della sentenza impugnata, con i provvedimenti consequenziali.

MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
Il giudice del merito ha affermato che l’apertura di un varco, con l’apposizione di una porta, in un muro comune ad altri proprietari, in un edificio condominiale, costituisce una modificazione nella struttura e nella destinazione funzionale della cosa, di per sè lesiva del pari diritto altrui di servirsi della stessa (diritto tutelato dalle disposizioni dettate nell’art. 1102 c.c.). La ricostruzione così operata in sentenza risulta, però, soltanto in parte condivisibile.
Come si è accennato, è emerso, in atti, che nell’androne di ingresso comune l’imputato ebbe a praticare un accesso alla sua cantina mediante la demolizione della porzione di parete necessaria allo scopo. In proposito, può concordarsi con il giudice di prime cure nel ritenere che, per effetto di tale comportamento, la parete venne "danneggiata", nel senso che ne venne interrotta la continuità ed alterata la sua consistenza precedente. Ad integrare il concetto penalistico di "danneggiamento" è sufficiente il mero deterioramento della cosa, attuato con modifiche peggiorative del modo di essere dell’esistente, che richiedano un ripristino di non agevole esecuzione (Cass. sez. 6^, 20 gennaio 2004, n. 1271). Nella vicenda di specie, l’apertura di una porta in una parete ne ha modificato la struttura di semplice muro nonchè la funzione di mera separazione di spazi, con un effetto che, se pure non ha sconvolto radicalmente questa struttura e questa funzione, per la sostanziale limitatezza dell’intervento, certamente ha rappresentato una alterazione suscettibile di essere ricondotta alla nozione di alterazione negativa, rispetto alla situazione antecedente. L’opera innovatrice interferì sull’aspetto e sul modo di essere del muro comune, nella sua originaria consistenza e nell’aspetto, apportando ad esso una modifica sufficiente ad ascriverla alla astratta nozione di un "danneggiamento" rilevante penalmente.
A fronte di una siffatta conclusione, che non viene contestata nei motivi di impugnazione, l’odierno ricorrente sostiene che nel comportamento dell’imputato non può ravvisarsi un illecito, in quanto sussistono i presupposti per l’applicazione dell’art. 1102 c.c., disciplinante i pari poteri di godimento della cosa comune che spettano ai singoli condomini, nel reciproco rispetto dei rispettivi diritti. La norma citata, si afferma, consente al singolo condomino di aprire una porta in un muro comune se il fatto è posto in essere per un migliore utilizzo della cosa propria, se non arreca, contestualmente, pregiudizio degli interessi degli altri comproprietari. La questione che si pone alla Corte di legittimità è dunque quella di verificare se la condotta attribuita al giudicabile abbia in effetti costituito un atto di esercizio di un diritto: e, per questa ragione, se la medesima condotta non sia punibile.
La norma citata è stata interpretata dalla giurisprudenza civilistica nel senso che essa ¯ consente l’utilizzazione della cosa comune, da parte del singolo compartecipe alla comunione, anche in modo a lui particolare, purchè non si sconfini nell’abuso e purchè la destinazione della cosa resti rispettata. A tal fine, si precisa, la legittimità di un tale uso particolaristico va verificata, nel giudizio di merito, in base al confronto tra l’uso diverso e le destinazioni possibili della cosa, quali stabilite, anche implicitamente, dalla volontà comune dei condomini (ad es., Cass. civ. 21 maggio 1990, n. 4566). L’uso particolare, si aggiunge, può essere anche diverso da quello proprio alla cosa comune, a patto che esso non alteri l’equilibrio tra le concorrenti utilizzazioni, attuali o potenziali, degli altri e non determini pregiudizievoli invadenze dell’ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari (Cass. civ., 5 gennaio 2000, n. 42: Cass. civ., 11 gennaio 1993, n. 172). La nozione di pari uso, cui si riferisce l’art. 1102 c.c., si conclude, non va intesa nel senso di uso identico, perchè l’identità nello spazio o nel tempo potrebbe comportare il divieto per ogni condomino di fare della cosa comune un uso a proprio esclusivo vantaggio, nei limiti in cui ciò non lede il diritto altrui (Cass. civ., 26 settembre 1998, n. 9649; Cass. civ., 23 marzo 1995, n. 3368). Ed a proposito di aperture di varchi in muri in comunione si è operata una distinzione rilevante. E’ legittima, si è affermato, la realizzazione di un varco nella recinzione comune, con apposizione di un cancello, per mettere in comunicazione spazi condominiali con la via pubblica, perchè ciò si risolve in una più intensa utilizzazione della cosa comune che non turba equilibri nel rapporto con gli interessi dei comproprietari (Cass. civ., 3 giugno 2003, n. 8830; Cass. civ., 1 agosto 2001, n. 10453). Non è stata, per contro, ritenuta legittima la pratica di un varco nel muro perimetrale che costituisca accesso ad un immobile privato dalla proprietà comune, perchè questa ne verrebbe assoggettata ad una servitù dapprima inesistente, con mutamento della destinazione del detto muro perimetrale (Cass. civ., 19 aprile 2006, n. 9036).
L’applicazione di questi principi alla vicenda di specie conduce al cennato accoglimento del ricorso. L’apertura della porta che da accesso alla cantina dell’imputato non ha costituito un abuso del suo diritto di usare della parete in comunione. Questa è usufruibile come prima, nella sua funzione di chiusura e delimitazione dell’androne condominiale, anche se attualmente vi è stata inserita una porta. L’inserzione di una porta non ha leso il diritto dei comproprietari di vedersi circoscritto da murature lo spazio adibito ad ingresso nell’edificio: nè costoro avrebbero, a quanto risulta dagli atti, un interesse a servirsi in qualche modo della porzione di parete ora adibita ad accesso alla cantina, interesse da considerare irrimediabilmente pregiudicato dall’iniziativa dell’imputato. Deve dunque convenirsi con il ricorrente nel ritenere che il fatto ascritto all’imputato, pur se configurante un deterioramento di una porzione comune dell’immobile in comproprietà, ha costituito esercizio di un diritto, nel senso che l’avvenuta apertura di una porta in un muro comune non ha rappresentato, nella vicenda di specie, nè un aggravio per la proprietà comune nè una utilizzazione vietata dalle norme del codice civile, ma è rimasta nell’ambito delle facoltà del condomino di utilizzare la cosa in comproprietà anche per soli fini esclusivi.
L’impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio, con dichiarazione assolutoria perchè il fatto non costituisce reato (formula da adottarsi in conformità all’insegnamento di cui alla sentenza Sezioni unite, 29 maggio 2008, n. 40049).

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non costituisce reato.
Così deciso in Roma, il 23 settembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 ottobre 2009