I primi due commi dell’art. 146, d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio) specificano che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’art. 142, o in base alla legge, a termini degli art. 136 e 143, comma 1, lett. d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione ed hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione. Da quanto sopra si desume che il vincolo paesaggistico ambientale implica un particolare regime giuridico dei beni su cui esso è apposto, non che la potestà autorizzatoria contemplata dalla legge debba essere esercitata esclusivamente nell’ambito delle previsioni urbanistiche. Lo "ius aedificandi", facoltà compresa nel diritto di proprietà dei suoli, non è un diritto assoluto; esso sottende un interesse sottoposto a conformazione da parte, innanzi tutto, dalla normativa di carattere urbanistico-edilizio, destinata ad interagire con altre normative settoriali ed, in particolare, con la normativa a tutela del paesaggio e dell’ambiente. Ne consegue che se la edificazione privata, ancorché conforme alle norme urbanistico-edilizie, è in contrasto con le esigenze di tutela del paesaggio, non può dirsi esistente ed esercitabile uno "ius aedificandi". L’esercizio della potestà autorizzatoria, infatti, non trova un limite invalicabile nelle previsioni urbanistiche, posto che in tale maniera essa verrebbe ad essere finalizzata alla sola verifica dell’adozione in sede progettuale delle opportune accortezze e cautele, mentre nessun limite prestabilito può frapporsi all’esercizio della potestà in questione, che non sia correlato al rispetto dei principi di ragionevolezza, logicità e proporzionalità, che devono comunque governare ed indirizzare l’operato dell’amministrazione pubblica; inoltre, il fatto che siano stati rispettati standard, volumi, prescrizioni, tipologie edilizie e quant’altro non è elemento che può implicare, di per sé, l’illegittimità del diniego di autorizzazione, giacché, come detto, la potestà autorizzatoria non incontra limite assoluto nelle prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio, posta comunque la necessità di congrua ed ampia motivazione allorché le esigenze ambientali e paesaggistiche impongano di discostarsi dalle previsioni urbanistiche.

1. In data 10 dicembre 2008 la Società Coop. Edilizia Le Tre Province, C. G., S. D., G. R., 2SD S.r.l. hanno trasmesso all’Amministrazione Provinciale di Catanzaro un’istanza per l’acquisizione di autorizzazione paesaggistica per un progetto relativo ad un Piano di lottizzazione da realizzare in località Giovino del Comune di Catanzaro, di superficie complessiva pari a mq 18.731 e ricadente nella Z.T.O. "B3 – zona residenziale e di completamento degli ambiti urbani già dotati di pianificazione attuativa". Ciò in quanto l’area in questione è sottoposta a vincolo paesaggistico ai sensi dell’art. 142 del d.lgs. n. 42/2004.
L’Amministrazione Provinciale di Catanzaro, con provvedimento prot. n. 13142 del 10 febbraio 2009, ha rilasciato l’autorizzazione richiesta, sulla base di relazione istruttoria del 4 febbraio 2009, nella quale si legge, fra l’altro, che "l’intervento proposto verrà realizzato su un’area per lo più incolta, in un contesto in fase di espansione ai margini di aree quasi totalmente antropizzate, per cui in virtù della estensione contenuta dell’area d’intervento e della disposizione sull’area dei lotti da edificare e della viabilità, delle tipologie edilizie previste nonché della sistemazione a verde prevista, il Piano di Lottizzazione proposto risulterà compatibile con le norme di tutela paesaggistica sancite dal D.Lgs. 42/2004".
La Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per la Calabria, tuttavia, con decreto prot. n. 37/bis del 20.3.2009, ha disposto l’annullamento dell’autorizzazione.
La Soprintendenza, premesso che la conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici non è elemento idoneo a legittimare l’autorizzazione paesaggistica, ha motivato l’annullamento sulla base della considerazione secondo cui "la proposizione progettuale è prevista su un’area antistante la pineta che la divide dal Mar Jonio con la presenza di particolari qualità visive di primissimo valore paesistico come il panorama verso il mare, meritevole di salvaguardia e di tutela. Pertanto sulla scorta di quanto sopra e nell’interesse della conservazione dell’integrità originaria dello stato dei luoghi, qualora l’opera, per composizione volumetrica, se realizzata verrebbe a determinare un consistente aggravio visivo, sconvolgendo in modo definitivo i pochi coni ottici ancora rimasti sull’area interessata".
La stessa Soprintendenza, precisato che la funzione dell’autorizzazione paesaggistica è quella di realizzare la conservazione dei valori paesistici e che una valutazione di compatibilità che si traduca in un’obiettiva deroga al vincolo si traduce in un’autorizzazione illegittima, ha ritenuto illegittima l’autorizzazione della Provincia per eccesso di potere sotto il profilo della carenza, contraddittorietà ed incongruità della motivazione e per violazione delle disposizioni normative a tutela del paesaggio.
2. Con il primo motivo i ricorrente hanno dedotto l’illegittimità del provvedimento di annullamento per violazione della normativa in materia e dei principi generali che la regolano, Eccesso di potere per carenza dei presupposti e travisamento dei fatti., per sviamento di potere, per illogicità, contraddittorietà e ingiustizia manifesta nonché per difetto di motivazione ed invasione della sfera di competenza provinciale.
Le censure in questione sono dedicate al rapporto tra pianificazione urbanistica e l’autorizzazione paesaggistica di cui all’art. 146 del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42. (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
La ricorrente evidenzia, innanzi tutto, che il potere di valutare la compatibilità paesaggistica di un intervento deve operare tenendo conto delle concrete previsioni urbanistiche del vigente P.R.G., senza alcuna possibilità di sovrapporsi alle stesse, di superarle o di ignorarle.
Le previsioni dello strumento urbanistico generale, sottolinea la ricorrente, vincolano non solo il Comune, ma anche tutti gli altri organi o Enti chiamati a valutare la compatibilità ambientale di un determinato intervento, di talché, se in una determinata zona è prevista l’edificazione, l’organo preposto alla tutela dell’ambiente, se può valutare se siano state usate le opportune accortezze e cautele, non può porsi in contrapposizione con lo strumento urbanistico e vietare l’intervento consentito dal Piano.
La ricorrente rileva, quindi, che, alla stregua del PRG comunale, l’area in questione è collocata in zona "B" ed è pianamente edificabile e che il progetto predisposto rispetta pienamente standards, limiti, prescrizioni, volumi, tipologie edilizie, previste dallo strumento urbanistico vigente.
La scelta dell’edificabilità dell’area sarebbe stata, quindi, effettuata a monte dallo strumento urbanistico ed essa non potrebbe essere ignorata dagli Enti preposti alla valutazione di compatibilità ambientale.
Si sarebbe di fronte ad una grave ingerenza rispetto ai poteri delle amministrazioni titolari dei poteri di pianificazione, essendosi esclusa in radice l’edificabilità di un’area per la quale lo strumento urbanistico ammette la possibilità di edificazione. Sarebbe stata negata la possibilità stessa di edificazione ulteriore nell’area e di ogni intervento pur conforme alle previsioni dello strumento urbanistico.
Le censure richiamate non appaiono condivisibili.
È indiscusso che il vincolo paesaggistico ambientale non comporta l’inedificabilità assoluta dei suoli, ma implica un particolare regime giuridico dei beni su cui esso è apposto. Ciè è desumibile, del resto, dalle stesse previsioni dei primi due commi dell’art. 146 sopra menzionato, laddove si specifica che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell’articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, non possono distruggerli, né introdurvi modificazioni che rechino pregiudizio ai valori paesaggistici oggetto di protezione ed hanno l’obbligo di presentare alle amministrazioni competenti il progetto degli interventi che intendano intraprendere, corredato della prescritta documentazione ed astenersi dall’avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l’autorizzazione.
Questo non significa, tuttavia, che la potestà autorizzatoria contemplata dalla legge debba essere esercitata esclusivamente nell’ambito delle previsioni urbanistiche.
Lo jus aedificandi è, indubbiamente, una facoltà compresa nel diritto di proprietà dei suoli, ma non è un diritto assoluto. Esso sottende un interesse sottoposto a conformazione da parte della legge e della pubblica amministrazione, in funzione di interessi diversi che vengono coinvolti dalla edificazione privata.
Tale opera di conformazione è effettuata, innanzi tutto, dalla normativa di carattere urbanistico – edilizio, ma essa è destinata ad interagire con altre normative settoriali ed, in particolare, con la normativa a tutela del paesaggio e dell’ambiente.
Il riconoscimento dello jus aedificandi, operato alla stregua delle previsioni del codice civile e della normativa urbanistico – edilizia di per sé non è, dunque, sufficiente per la sussistenza e l’esercizio dello stesso, se analogo riconoscimento non derivi da altre normative settoriali.
Ne consegue che se la edificazione privata, ancorché conforme alle norme urbanistico – edilizie, è in contrasto con le esigenze di tutela del paesaggio, non può dirsi esistente ed esercitabile uno jus aedificandi (in questi termini, Cons. St., sez. VI, 30 novembre 2004 n. 7811).
L’orientamento richiamato appare conforme ai principi posti in materia dal giudice delle leggi, che ha sottolineato che "…Il paesaggio, unitamente al patrimonio storico ed artistico della Nazione, costituisce un valore cui la Costituzione ha conferito straordinario rilievo, collocando la norma che fa carico alla Repubblica di tutelarlo tra i principii fondamentali dell’ordinamento (art. 9, secondo comma, Cost.)". Lo stesso ha aggiunto, altresì, che "…fermo il riparto delle competenze disposto da norme costituzionali e sulla base di esso, la tutela del paesaggio presuppone, normalmente, la comparazione ed il bilanciamento di interessi diversi, in particolare degli interessi pubblici rappresentati da una pluralità di soggetti, la cui intesa è perciò necessario perseguire di volta in volta, se comune a tutti è il fine costituzionalmente imposto, appunto, della tutela del paesaggio" (Corte cost., 1 aprile 1985 n. 94; in materia anche Corte cost., 27 giugno 1986 n. 151).
Deriva da ciò la non condivisibilità dell’assunto, sostenuto dai ricorrenti, secondo cui l’esercizio della potestà autorizzatoria troverebbe un limite invalicabile nelle previsioni urbanistiche. Tale tesi, se accettata, condurrebbe a circoscrivere l’esercizio della potestà in parola in spazi assolutamente angusti, dal momento che la potestà stessa si troverebbe ad essere finalizzata, come afferma esplicitamente la ricorrente, alla sola verifica dell’adozione in sede progettuale delle opportune accortezze e cautele.
La verità è che nessun limite prestabilito può frapporsi all’esercizio della potestà in questione, che non sia correlato al rispetto dei principi di ragionevolezza, logicità e proporzionalità, che devono comunque governare ed indirizzare l’operato dell’amministrazione pubblica.
Il fatto che siano stati rispettati standard, volumi, prescrizioni, tipologie edilizie e quant’altro non è elemento che può implicare, di per sé, l’illegittimità del diniego di autorizzazione, giacché, come detto, la potestà autorizzatoria non incontra limite assoluto nelle prescrizioni di carattere urbanistico ed edilizio.
Resta ferma, evidentemente, la necessità di congrua ed ampia motivazione allorché le esigenze ambientali e paesaggistiche impongano di discostarsi dalle previsioni urbanistiche (TAR Liguria, 22 giugno 2007 n. 1201).
3. Con il secondo motivo i ricorrenti hanno dedotto la violazione dell’art. 159 d. lgs. n. 42/2004.
Il potere di annullamento previsto dall’art. 159, 3° comma del d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 sarebbe stato esercitato, anziché sulla base della rilevazione di uno specifico vizio di legittimità dell’atto sottoposto a controllo, sulla scorta di un riesame del merito della valutazione effettuata dall’ente delegato.
L’autorità statale nell’esercizio del potere di annullamento delle autorizzazioni paesistiche avrebbe solo un potere di riesame estrinseco, con riferimento all’assenza di vizi di legittimità e non già il potere di rinnovare un giudizio tecnico-discrezionale sulla compatibilità paesaggistico – ambientale dell’intervento.
Nel caso di specie, la Soprintendenza avrebbe operato un riesame di merito del parere provinciale favorevole, incentrato nella sovrapposizione della propria valutazione a quella dell’Amministrazione Provinciale di Catanzaro.
Le censure compendiate sono fondate.
Sulla base dell’art. 159 del d.lgs. n. 42/2004 "la soprintendenza, se ritiene l’autorizzazione non conforme alle prescrizioni di tutela del paesaggio, dettate ai sensi del presente Titolo, può annullarla, con provvedimento motivato, entro i sessanta giorni successivi alla ricezione della relativa, completa documentazione. Si applicano le disposizioni di cui all’articolo 6, comma 6- bis, del decreto del Ministro per i beni culturali e ambientali 13 giugno 1994, n. 495".
La giurisprudenza assolutamente consolidata ha affermato che il potere di annullamento esercitato dalla Soprintendenza non comporta un riesame complessivo e non consente, quindi, la sovrapposizione o sostituzione di un suo apprezzamento di merito alle valutazioni tecniche discrezionali compiute dall’ente locale.
Il potere stesso si estrinseca, invece, in un riesame meramente estrinseco, teso a verificare l’eventuale presenza di vizi di legittimità comprendenti l’eccesso di potere nelle diverse forme sintomatiche e non può tradursi in un giudizio tecnico discrezionale sulla compatibilità paesaggistico – ambientale dell’intervento, in quanto tale giudizio che è riservato all’autorità preposta alla tutela del vincolo.
L’Amministrazione statale, quindi, può verificare dall’esterno la coerenza, la logicità e la completezza istruttoria dell’iter procedimentale seguito dall’Amministrazione emanante, ma non può sostituire i suoi apprezzamenti sulla compatibilità ambientale a quelli espressi dall’Ente locale (T.A.R. Toscana Firenze sez. III 16 marzo 2009 n. 427; Cons. St., sez. VI, 23 febbraio 2009 , n. 1050; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 19 febbraio 2009 , n. 978; Cons. St., sez. VI, 10 settembre 2008 , n. 4311; T.A.R Puglia Lecce, sez. I, 17 luglio 2008, n. 2213; T.A.R. Puglia Lecce, sez. I, 17 aprile 2008 , n. 1141; T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 05 febbraio 2008 , n. 551).
La Soprintendenza, in verità, nel disporre l’annullamento del provvedimento dell’Amministrazione Provinciale, rileva i vizi di eccesso di potere sotto il profilo della carenza, contraddittorietà ed incongruità della motivazione e per violazione delle disposizioni normative a tutela del paesaggio. Alla base di tale rilievo vi è l’osservazione per la quale la funzione dell’autorizzazione paesaggistica è quella di realizzare la conservazione dei valori paesistici e che una valutazione di compatibilità che implichi un’obiettiva deroga al vincolo si traduce in un’autorizzazione illegittima.
È chiaro che siffatto ragionamento tende a dare per dimostrato ciò che, in effetti, dimostrato non è e si risolve, quindi, in una petizione di principio. Affermandosi, infatti, che l’illegittimità dell’autorizzazione è correlata alla deroga del vincolo che, a sua volta, è connessa alla tutela dei valori paesistici, si prescinde dall’esaminare e dal risolvere il problema di base, che è quello di individuare l’autorità che, nell’esercizio del potere autorizzatorio, è investita della tutela di tali valori. E non può esservi dubbio che, nel sistema attuale, l’autorità in questione si identifichi nell’Amministrazione locale delegata, cui spetta in via esclusiva di effettuare la valutazione di compatibilità.
La Soprintendenza potrà solo verificare che tale valutazione di compatibilità non sia manifestamente illogica o irrazionale, non sia basata su errata ricostruzione dei fatti, sia sorretta da motivazione sufficiente, congrua, razionale e non contraddittoria ed, in genere, che siano osservate le regole che sovrintendono all’esercizio della funzione tecnico – discrezionale e le norme che disciplinano la funzione stessa.
Alla luce di quanto sopra, la censura in esame risulta fondata, con conseguente illegittimità del provvedimento impugnato.
4. In conclusione, il ricorso è fondato e deve essere accolto, con conseguente annullamento del provvedimento impugnato (decreto prot. n. 37/bis del 20 marzo 2009, del Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per la Calabria), salva restando la possibilità per la Soprintendenza di riesercitare il potere in questione. Restano assorbite le censure non esaminate.
Sussistono giusti motivi per compensare fra le parti le spese di giudizio.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, Sede di Catanzaro, Sezione Prima, accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla il decreto prot. n. 37/bis del 20 marzo 2009, del Soprintendente per i Beni Architettonici e per il Paesaggio per la Calabria, salvi i successivi provvedimenti dell’Amministrazione.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del 23 ottobre 2009 con l’intervento dei Signori Magistrati:
Concetta Anastasi, Presidente FF
Giovanni Iannini, Consigliere, Estensore
Anna Corrado, Referendario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 26 NOV. 2009