Le eccezioni di illegittimità costituzionale delle norme applicate nei provvedimenti impugnati davanti al giudice amministrativo, sono sempre sollevabili d’ufficio ma non sono sottoposte a termini di decadenza, potendo essere proposte, ai sensi dell’art. 23 L. 11 marzo 1953 n. 87, in corso di giudizio, anche in limine litis, con la forma dell’istanza rivolta al giudice.

La ricorrente, in qualità di elettrice e candidata della "Lista Marco Pannella" alle ultime elezioni regionali ha impugnato l’atto di proclamazione degli eletti relativo alle operazioni elettorali per l’elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale della Lombardia, svoltesi nei giorni 28 e 29 marzo 2010, compresi gli atti di esclusione della lista Marco Pannella dalla competizione elettorale per i seguenti motivi.
I) Violazione dell’art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento tra le forze politiche nella fase pre-elettorale di raccolta delle sottoscrizioni delle liste di candidati.
Secondo la ricorrente la legge 43/1995, nell’estendere il potere di autenticare le sottoscrizioni per la presentazione delle liste ai consiglieri comunali e provinciali, avrebbe comportato una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle liste, come quella della ricorrente, che non possono usufruire di questa possibilità non avendo consiglieri comunali o provinciali in carica e non avendo consiglieri comunali e provinciali di altre forze politiche dato la disponibilità per la raccolta delle firme necessarie per la presentazione della Lista Marco Pannella.
II) Violazione dell’art. 1 comma 4 della L. n. 43/1995 e dell’art. 8 del regolamento del 9 febbraio 2010 della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radio televisivi. Inosservanza degli obblighi di informazione da parte del servizio pubblico radiotelevisivo.
Secondo la ricorrente il servizio radio televisivo pubblico ha trasmesso i messaggi informativi relativi agli adempimenti previsti per la sottoscrizione delle liste solo pochi giorni prima della scadenza del termine in violazione del regolamento medesimo, impedendo alla Lista Marco Pannella di raccogliere le firme necessarie in tempo utile.
III) Violazione dell’art. 3 del primo protocollo annesso alla CEDU in quanto a seguito dell’inadempimento da parte della RAI ai suoi obblighi informativi relativi alla sottoscrizione delle liste ed all’inadempimento dell’obbligo di apertura straordinaria degli uffici nel periodo pre-elettorale sarebbe stato violato il diritto individuale di voto e il diritto di elettorato passivo garantiti dalla Convenzione.
L’Avvocatura dello Stato ha chiesto la dichiarazione di irricevibilità del ricorso per tardività in quanto l’atto di non ammissione delle liste avrebbe dovuto essere impugnato entro il termine di impugnazione decorrente dalla conosciuta esclusione.
In subordine considera inammissibile la richiesta di dichiarazione di illegittimità costituzionale per mancata rituale istanza al Collegio ai sensi dell’art. 23 della L. 87/1953 e mancata individuazione della disposizione di legge in contrasto con l’art. 3 della Costituzione; il primo motivo sarebbe comunque infondato in quanto l’art. 4 c. 2 della L. 120/1999 avrebbe la finalità di agevolare lo svolgimento delle elezioni.
In merito al secondo motivo l’Avvocatura erariale sostiene la sua infondatezza in quanto alla RAI non sarebbe contestato l’inadempimento ai suoi obblighi ma il mero ritardo e perché non potrebbe farsi dipendere la vigenza della norma in materia di autenticazione delle sottoscrizioni dall’applicazione del regolamento relativo alla RAI. Inoltre tale pubblicità non sarebbe esclusiva e sarebbe comunque presidiata dalle responsabilità previste dall’art. 13 del medesimo regolamento.
Con riferimento all’ultimo motivo sostiene che le violazione dell’art. 3 della CEDU non sarebbero provate.
I consiglieri D. B., D. B., D. B., C. B., R. B., C. B., F. C., A. C., J. C., G. F., S. G., A. G., G. L., A. M., M. O., U. P., R. P., L. R., P. T. ritengono inammissibile il ricorso per tardività e per genericità del primo motivo di ricorso. Chiedono quindi la reiezione del secondo motivo in quanto l’art. 1 comma 4 della legge 43/1995 non individuerebbe le modalità di espletamento dell’obbligo informativo né prevederebbe come conseguenza l’invalidità del procedimento elettorale e del terzo motivo di ricorso per la genericità delle violazioni denunciate.
I consiglieri R. A., R. A., G. B., M. B., S. C., R. C., A. C., G. A. G., R. M. La R., C. M., S. M., N. M., F. N. C., M. P., M. P., M. P., G. P., G. P., M. R., G. R., D. R., G. R., C. S., M. S., P. V. P., D. Z., S. Z., V. P. eccepiscono in primo luogo la tardività del ricorso e la sua inammissibilità perché l’art. 3 della Costituzione sarebbe norma meramente programmatica, e perché non potrebbe denunciarsi in via diretta avanti al giudice interno una violazione della CEDU. Sostengono quindi l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica del ricorso al Ministero degli Interni. Nel merito contestano il primo motivo di ricorso in quanto la norma tacciata di incostituzionalità sarebbe di favore e perché la mancanza di autenticatori sarebbe asserita ma non provata. Inoltre la norma sarebbe legittima in quanto, avendo la Corte costituzionale ritenuto legittima l’esenzione dalla raccolta di firme per le liste che hanno già dimostrato un certo grado di rappresentatività, a maggior ragione sarebbe legittimo attribuire alle liste che hanno ottenuto l’elezione di consiglieri comunali o provinciali di autenticare le candidature.
Il secondo motivo di ricorso sarebbe infondato in quanto l’inadempimento degli obblighi di informazione da parte della RAI sarebbe già autonomamente sanzionato dall’ordinamento.
Il terzo motivo di ricorso sarebbe inammissibile in quanto le norme della CEDU non avrebbero applicazione diretta nel nostro ordinamento.
Il presidente R. F. e la Regione Lombardia ritengono inammissibile ed irricevibile il ricorso per tardività, inammissibile il primo motivo di ricorso per mancanza dell’apposita istanza volta a sollevare la questione di legittimità costituzionale. Tale motivo sarebbe comunque infondato perché non potrebbe considerarsi una barriera all’accesso alle consultazioni elettorali una norma che si ispira al favor partecipationis e perché non sussisterebbe disparità di trattamento tra liste che vantano consiglieri comunali e provinciali autenticatori e liste prive di queste figure in quanto, secondo la giurisprudenza amministrativa, il consigliere autentica le sottoscrizioni indipendentemente dalla circostanza che questi abbia interesse specifico alla presentazione della lista (Cons. Stato, sent. 2817/2007). Ritengono quindi infondato il secondo motivo di ricorso in quanto la RAI sarebbe soggetto del tutto estraneo al procedimento elettorale. Da ultimo non potrebbe considerarsi contraria alla CEDU la disciplina relativa alla raccolta di firme in quanto ispirata, al contrario, al principio del favor partecipationis.
All’udienza del 5 ottobre 2010 il Collegio ha trattenuto la causa per la decisione. Il dispositivo di sentenza è stato depositato il giorno successivo ai sensi dell’art. 130 comma 7 del Codice del processo amministrativo.

DIRITTO
In primo luogo il Collegio non ritiene di entrare nel merito delle eccezioni processuali di inammissibilità ed irricevibilità del ricorso sollevate dalla parte resistente e dai controinteressati in ragione dell’infondatezza del medesimo.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 3 della Costituzione per disparità di trattamento tra le forze politiche nella fase pre-elettorale di raccolta delle sottoscrizioni delle liste di candidati.
A suo dire la legge 43/1995, nell’estendere il potere di autenticare le sottoscrizioni per la presentazione delle liste ai consiglieri comunali e provinciali, avrebbe comportato una ingiustificata disparità di trattamento nei confronti delle liste, come quella della ricorrente, che non possono usufruire di questa possibilità non avendo consiglieri comunali o provinciali in carica e non avendo altri consiglieri comunali e provinciali dato la disponibilità per la raccolta delle firme necessarie per la presentazione della Lista Marco Pannella.
Nella memoria per l’udienza la ricorrente ha specificato la questione affermando che ritiene che l’art. 4 della legge 120/99, nella parte in cui ha aggiunto all’elenco dei autenticatori delle sottoscrizioni necessarie per la presentazione delle liste elettorali i consiglieri comunali e provinciali, avrebbe attribuito una innegabile, discriminatoria e irragionevole condizione di favore alle formazioni politiche che sono già rappresentate nei consigli comunali e provinciali in violazione dell’art. 49 della Costituzione e del principio di libertà ed eguaglianza del voto sancito dall’art. 48 della Carta costituzionale.
La questione, per come è stata sollevata dalla ricorrente, è manifestamente infondata.
In primo luogo occorre sgombrare il campo dalle eccezioni di inammissibilità della questione proposta per indeterminatezza del suo contenuto, in quanto la ricorrente ha provveduto con la memoria per l’udienza a definire gli aspetti specifici della questione sollevata. In merito la giurisprudenza ha chiarito che le eccezioni di illegittimità costituzionale delle norme applicate nei provvedimenti impugnati davanti al giudice amministrativo, sempre sollevabili d’ufficio, non sono sottoposte a termini di decadenza, potendo essere proposte, ai sensi dell’art. 23 L. 11 marzo 1953 n. 87, in corso di giudizio, anche in limine litis, con la forma dell’istanza rivolta al giudice (T.A.R. Lazio Sez. I, 5 novembre 1984 n. 986).
Ugualmente devono respingersi le eccezioni secondo le quali la questione di legittimità costituzionale sarebbe stata proposta in via principale in quanto l’oggetto del giudizio è l’annullamento della esclusione della Lista Marco Pannella dalle elezioni regionali e dell’atto di proclamazione degli eletti e, di conseguenza, sussiste un petitum separato e distinto rispetto alla questione di legittimità costituzionale, che costituisce un incidente del processo (TAR Friuli Venezia Giulia, 22 giugno 1987 n. 176).
Venendo al merito della questione la ricorrente sostiene in primo luogo che la disparità di trattamento denunciata comporterebbe una violazione dell’art. 48 della Costituzione nella parte in cui garantisce il principio di libertà ed uguaglianza del voto.
In effetti l’art. 48 della Costituzione, nella parte in cui garantisce la libertà e l’uguaglianza del voto, dev’essere letto in stretto connubio con l’art. 49 secondo il quale tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
Infatti in primo luogo l’art. 49 è collocato sotto il titolo I della Costituzionale dedicato ai diritti fondamentali dei cittadini ed attribuisce direttamente ai cittadini il diritto di concorrere, attraverso i partiti, a determinare la politica nazionale, ed in secondo luogo il voto può effettivamente ritenersi libero solo nel caso in cui il sistema politico garantisca un’effettiva concorrenza di più partiti alle elezioni e nello svolgimento dell’attività politica.
Questo collegamento tra il diritto individuale previsto dall’art. 48 della Costituzione e quello collettivo previsto dall’art. 49 è confermato dal fatto che la presentazione delle candidature costituisce la prima operazione che il corpo elettorale è chiamato a svolgere al fine di rendere possibile lo svolgimento delle elezioni.
La ricorrente si fa portatrice, in qualità di candidata, anche dell’interesse del partito politico di riferimento ed in tale veste, impugnando l’art. 4 della L. 120/1999, denuncia in sostanza la violazione del principio della par condicio tra i partiti politici nella presentazione delle candidature alle ultime elezioni regionali.
Benché la giurisprudenza costituzionale abbia chiarito che non esiste in generale un principio di parità di trattamento dei partiti nella raccolta delle firme (Corte cost. 83/92), rispondendo la disciplina che impone la raccolta di firme per la presentazione delle candidature ad evitare la presentazione di liste civetta, non si può escludere che il principio della par condicio si applichi nei casi, come le elezioni regionali, in cui la legge imponga a tutte le forze politiche di raccogliere le firme. Infatti l’art. 49 della Costituzione, nel riconoscere a tutti i cittadini associati in partiti, il diritto di concorrere a determinare la politica nazionale, implicitamente riconosce che tale concorso deve svolgersi su un piano di parità.
Secondo la tesi attorea l’art. 4 della L. 120/1999 avrebbe concesso un ingiustificato privilegio alle liste già rappresentate in quanto: i consiglieri comunali e provinciali sarebbero un numero di autenticatori molto più elevato di quelli "professionali" (termine con il quale si intende comprendere tutti gli autenticatori diversi dai rappresentanti delle forze politiche nelle assemblee politiche locali in quanto svolgono tale attività in adempimento di doveri d’ufficio) in generale utilizzabili da tutte le liste, anche quelle non rappresentate; i consiglieri sarebbero disposti ad esercitare la loro funzione notarile senza limiti di tempo e di spazio; sarebbero disponibili ad autenticare le firme solo a favore delle forze politiche di appartenenza.
Tuttavia queste condizioni di fatto non risultano provate.
Infatti in primo luogo non è possibile dagli atti del giudizio desumere la sussistenza di una sproporzione numerica tra autenticatori "professionali" e autenticatori di estrazione politica, nè è stato dato un principio di prova in tal senso. A ciò si aggiunge che tale sproporzione non rientra neppure tra i fatti noti in quanto è estremamente difficile sapere quanti siano stati i funzionari che hanno svolto tale funzione e quanti consiglieri abbiano dato la loro disponibilità al Sindaco o Presidente di Provincia.
In secondo luogo non è possibile affermare che i consiglieri sarebbero l’unica categoria disponibile a svolgere la funzione fuori dagli uffici in quanto tale caratteristica deve riconoscersi anche ai presidenti delle province, ai sindaci, agli assessori comunali e provinciali, ai presidenti ed ai vice presidenti dei consigli circoscrizionali. Inoltre non è provato che gli autenticatori professionali svolgano le loro funzioni esclusivamente negli uffici in quanto l’art. 1 comma 4 della legge 23 febbraio 1995 n. 43 stabilisce che il Comune è tenuto ad organizzare il servizio di raccolta delle firme non solo nella sede comunale ma anche in altre aree di proprietà comunale, che sono potenzialmente illimitate. A ciò si aggiunge che vi sono categorie di funzionari comunali (categoria ammessa all’autenticazione) che operano sparsi sul territorio.
L’indisponibilità di questi dipendenti potrà al M. essere rilevata in un eventuale giudizio insorto in merito al rifiuto dell’amministrazione di appartenenza di autorizzarli.
In terzo luogo non è provato che i gruppi politici che possono vantare consiglieri comunali e provinciali siano avvantaggiati in quanto: esistono molti consiglieri comunali e provinciali che appartengono a liste che non sono rappresentate alle elezioni regionali (ad es. liste civiche locali) e che, di conseguenza, non hanno remore ad effettuare l’autenticazione per liste diverse, non sussistendo un conflitto di interessi tra la propria appartenenza partitica o la propria presenza in lista e l’autenticazione per altri. A ciò si aggiunge che la giurisprudenza amministrativa (Consiglio Stato, sez. V, 31 maggio 2007 , n. 2817) ha chiarito che l’autenticazione costituisce un dovere generale in capo ai consiglieri che danno la loro disponibilità a svolgere tale funzione. Infatti secondo la suddetta pronuncia del Consiglio di Stato, al quale il Collegio ritiene di aderire, "la disposizione, nel testo derivante dalle modifiche introdotte con la legge 30 aprile 1999, n. 120, intende agevolare lo svolgimento del procedimento elettorale, ampliando il novero dei soggetti abilitati all’autenticazione delle firme dei sottoscrittori le liste. La disposizione, per il suo carattere speciale e per la sua particolare finalità, si applica in tutte le ipotesi di sottoscrizione di liste di candidati, nello stesso ente locale di appartenenza del consigliere, il quale autentica la sottoscrizione e indipendentemente dalla circostanza che questi abbia interesse specifico alla presentazione della lista".
In sostanza la possibilità riconosciuta ai rappresentanti politici eletti negli enti locali di svolgere la funzione di autenticatore si riduce alla decisione di dare la propria disponibilità, come si desume anche dal fatto che di tale scelta essi devono dare pubblicità mediante la comunicazione al Sindaco od al Presidente della Provincia.
Né da ultimo il problema della esigibilità di questa prestazione può assumere rilevanza in questo giudizio non essendo stata data la prova del verificarsi di tali situazioni e della rilevanza ai fini della sorte delle elezioni.
In definitiva la questione di legittimità costituzionale, così come è stata proposta dalla ricorrente nella sua qualità di elettrice e candidata, risulta manifestamente infondata.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1 comma 4 della L. n. 43/1995 e dell’art. 8 del regolamento del 9 febbraio 2010 della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radio televisivi e l’inosservanza degli obblighi di informazione da parte del servizio pubblico radiotelevisivo.
Il motivo è infondato.
In primo luogo deve ritenersi, a differenza di quanto affermato dai controinteressati, che gli obblighi informativi in merito alle operazioni elettorali previsti dall’art. 1 comma 4 della legge 23 febbraio 1995 n. 43 rientrino, almeno sotto certi profili, nella nozione di atti del procedimento elettorale successivi all’emanazione dei comizi elettorali ai sensi e per gli effetti dell’art. 130 del Codice del processo amministrativo.
In linea generale, con la locuzione "atti del procedimento elettorale" si intende comunemente il complesso di atti ed operazioni amministrative immediatamente dirette alla manifestazione della volontà elettorale ed alla formazione degli organi elettivi.
L’informazione resa dagli organi di informazione di proprietà pubblica secondo l’art. 1 comma 4 della legge 23 febbraio 1995 n. 43 costituisce una forma di pubblicità delle operazioni di apertura degli uffici comunali ed è equiparata dal legislatore all’altra forma di pubblicità del medesimo adempimento, consistente nella pubblicazione degli orari degli uffici deputati ad opera dell’autorità comunale. Tale informazione è strettamente connessa allo svolgimento delle operazioni elettorali tanto che la norma la considera conseguente all’adozione delle misure organizzative necessarie per lo svolgimento delle operazioni di raccolta delle firme necessarie alla presentazione delle candidature e viene quindi svolta dal concessionario del servizio solo a seguito della comunicazione da parte delle autorità preposte al servizio elettorale dei giorni e delle ore di svolgimento di questo servizio.
La comunicazione da parte dell’emittente radio televisiva pubblica deve quindi essere equiparata alle altre forme di pubblicità delle operazioni elettorali che in passato la giurisprudenza ha ritenuto rientrare nel giudizio elettorale (T.A.R. Catania, I, 28 febbraio 1987 n. 237; Consiglio Stato , sez. V, 26 giugno 1981 , n. 293).
Tuttavia tale adempimento costituisce anche un obbligo di informazione che rientra nell’ambito della propaganda elettorale in quanto è volto a permettere l’incontro tra le forze politiche ed il corpo elettorale nella fase antecedente la presentazione delle liste ed incide quindi anche sulla par condicio tra i partecipanti alla competizione elettorale, come dimostrato dal fatto che la legge 28/2000, che disciplina la propaganda elettorale mediante il mezzo televisivo, contiene una specifica disciplina relativa al periodo che va tra la data di convocazione dei comizi e la presentazione delle candidature. Ciè è poi confermato dal fatto che il provvedimento della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi in data 9 febbraio 2010, che la ricorrente ritiene violato, equipara tale adempimento agli altri relativi alla propaganda elettorale.
Deve quindi ritenersi che la violazione di queste regole sia già sanzionabile dall’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni ai sensi dell’art. 10 della legge 22 febbraio 2000 n. 28, che punisce le violazioni delle disposizioni di cui alla suddetta legge, nonché di quelle emanate dalla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi con il suddetto regolamento, emanato anche ai sensi dell’art. 1 della legge n. 28/2000.
Ne consegue che, in mancanza di un’espressa sanzione di nullità nel procedimento elettorale, si deve ritenere che l’eventuale inadempimento di tale obbligo non possa condurre all’annullamento delle operazioni elettorali in presenza di un’apposita sanzione e di un’autorità competente al perseguimento delle sue violazioni.
In ogni caso deve ritenersi che la violazione del regolamento non risulti provata.
L’art. 8 del Regolamento approvato dalla Commissione di Vigilanza sulla RAI stabilisce che "a far luogo almeno dal quinto giorno successivo alla convocazione dei comizi elettorali la RAI predispone e trasmette, sia con diffusione nazionale, sia con diffusione regionale nelle regioni interessate alla consultazione elettorale, una scheda televisiva e una radiofonica che illustrano gli adempimenti previsti per la presentazione delle candidature e la sottoscrizione delle liste. Analoghe schede informative vengono pubblicate sul portale e sui siti Internet della RAI".
I ricorrenti in proposito hanno presentato un elenco di spot elettorali trasmessi dalle reti RAI Uno, RAI Due e RAI Tre tra il 19 febbraio 2010 ed il 26 marzo 2010 dalle quali non risulta che la RAI abbia violato l’obbligo previsto dalla norma indicata, la quale non stabilisce limiti quantitativi minimi per tali comunicazioni. A ciò si aggiunge che non risultano dati in merito alla comunicazione di livello regionale, ai diversi canali della RAI ed alle schede radiofoniche.
Né a diverso risultato si può giungere tenendo conto delle denunce presentate dal Presidente della Lista Marco Pannella alla Procura della Repubblica in quanto non risultano provati in tale atto gli inadempimenti denunciati.
Il secondo motivo di ricorso deve quindi ritenersi infondato.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 3 del primo protocollo annesso alla CEDU in quanto a seguito dell’inadempimento da parte della RAI ai suoi obblighi informativi relativi alla sottoscrizione delle liste ed all’inadempimento dell’obbligo di apertura straordinaria degli uffici nel periodo pre-elettorale sarebbe stato violato il diritto individuale di voto e il diritto di elettorato passivo garantiti dalla Convenzione.
Il Collegio non ritiene necessario affrontare la questione preliminare relativa all’applicabilità diretta delle norme della CEDU nei giudizi interni, stante l’infondatezza della questione proposta.
La reiezione dei primi due motivi di ricorso infatti comporta che analoga sorte spetti al terzo motivo nella parte in cui denuncia gli stessi vizi già rilevati con i motivi precedenti (privilegio di alcune liste nella raccolta delle firme e violazione degli obblighi di informazione da parte della RAI) quali violazioni dell’art. 3 del primo protocollo annesso alla CEDU.
Ad analoga conclusione occorre giungere con riferimento alla denunciata violazione degli obblighi di apertura degli uffici comunali per la raccolta delle firme necessarie alla presentazione delle candidature in quanto non è data alcuna prova di tale inadempimento.
Sussistono comunque giustificati motivi per disporre la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 5 ottobre 2010 con l’intervento dei magistrati:
Adriano Leo, Presidente
Concetta Plantamura, Referendario
Alberto Di Mario, Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 18 OTT. 2010.