L’attività conformativa della P.A. alle sentenze del giudice è attività vincolata, di talché per la stessa non vi è spazio per alcuna valutazione di tipo discrezionale in ordine alla vicenda che ha trovato composizione in sede giurisdizionale, né può più invocarsi l’applicazione di disposizioni normative, in merito alla cui corretta applicazione, peraltro, si sia già espresso il giudice con la decisione cui si è data ottemperanza.

Con il ricorso in epigrafe i ricorrenti, dipendenti dell’Ispesl, impugnano il decreto con cui il Direttore dell’Istituto ha annullato il concorso interno, per titoli ed esami, a n. 20 posti di Dirigente di ricerca, I livello professionale, in relazione al quale i medesimi avevano presentato domanda di partecipazione.
Deducono, con un primo motivo, eccesso di potere per sviamento ed erronea applicazione di giudicato, risultando l’atto gravato emesso sulla base della sentenza n. 1413/95, con cui il giudice si sarebbe limitato a rilevare l’illegittimità della copertura di posti mediante concorso prima di avere riconosciuto la relativa qualifica ai dipendenti cui competeva.
Con il secondo mezzo, deducono la violazione contrattuale, ed, in specie, dell’art. 14 del d.P.R. n. 171/91 che prevede la possibilità di accesso al profilo apicale di carriera di ricerca per i ricercatori dell’Ispesl in servizio nel periodo di applicazione del contratto.
Con il terzo motivo di ricorso, denunciano la violazione del d.lgs. n. 29/1993, che prevede che devono essere espletati i concorsi banditi o per i quali esiste una previsione normativa per il bando.
Con la quarta ed ultima censura deducono, infine, eccesso di potere per incompetenza e violazione del principio di buon andamento della P.A., contestando il potere del Direttore dell’Ispesl ad annullare il bando di concorso a suo tempo adottato dal Ministro della Sanità, unica autorità che avrebbe tale potestà.
Lamentano, altresì, che a causa del disposto annullamento difetterebbe un adeguato numero di dirigenti di ricerca, per l’impossibilità di attribuzione dei relativi incarichi alla scadenza di quelli attribuiti il 25 marzo 1993.
Concludono i ricorrenti chiedendo l’annullamento degli atti impugnati.
Si è costituita in giudizio l’Avvocatura generale dello Stato in difesa dell’intimato Ministero della sanità; non si è invece costituito il pure intimato Ispesl.
Con ordinanza n. 241/2000 del 13 gennaio 2000 l’adito Tribunale ha respinto l’istanza cautelare incidentalmente proposta.
Alla pubblica udienza del 25 febbraio 2010 la causa è stata trattenuta per la decisone.

DIRITTO
Il Collegio deve rilevare, in via preliminare, che, trattandosi di ricorso ultra quinquennale, la segreteria della Sezione aveva notificato ai ricorrenti l’apposito avviso di cui all’art. 9, legge 205/2001, in virtù del quale è fatto onere alle parti ricorrenti di presentare nuova istanza di fissazione dell’udienza con la firma delle parti medesime entro sei mesi dalla data di notifica dell’avviso. Preso atto che a tale istanza hanno risposto nei termini indicati solo taluni dei ricorrenti, il ricorso deve essere dichiarato perento nei confronti dei sigg. R. D., S. D., D. G. e T. M., che non hanno presentato nuova domanda di fissazione.
Sempre in via preliminare, il Collegio dà atto della ritualità della riassunzione del giudizio, depositata in data 4 febbraio 2010, da parte degli eredi del ricorrente S. G., deceduto nelle more della decisione.
Oggetto di controversia è il provvedimento con cui il direttore dell’I.S.P.E.S.L. – Istituto Superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro – ha annullato il concorso interno, per titoli ed esami, a 20 posti di I livello professionale con profilo di "Dirigente di ricerca" precedentemente indetto con decreto del Ministro della sanità.
Con un primo motivo lamentano i ricorrenti l’erronea applicazione di quanto statuito dal Tar con la sentenza n. 1423/1995.
La censura non ha pregio.
Con la sentenza sopra richiamata, passata in giudicato al momento dell’adozione del gravato provvedimento, la Sezione, in accoglimento di ricorso presentato da alcuni dipendenti dell’Istituto in possesso dell’inquadramento nella qualifica di ricercatori, ha annullato il bando di concorso in questione e gli atti allo stesso presupposti, in quanto "…le vacanze di organico utilizzabili per i concorsi interni sono quelle che residuano una volta espletati gli inquadramenti diretti. Ed a questo fine non possono essere considerati vacanti e disponibili i posti destinati ad essere coperti con gli inquadramenti diretti ancorché, per avventura, i relativi atti non fossero perfezionati alla data di entrata in vigore del d.P.R. n. 171 del 1991."
È principio granitico della giurisprudenza amministrativa che la Pubblica amministrazione è sempre tenuta ad adeguarsi alle pronunce del giudice sulle quali si sia formato il giudicato, gravando su di essa un vero e proprio "obbligo di esecuzione", che si traduce nell’adozione di atti e provvedimenti vincolati quando il contenuto precettivo della decisione contiene disposizioni tassative e puntuali.
Se, pertanto, a seguito di un giudicato incombe l’obbligo dell’Amministrazione di conformarsi ad esso, il contenuto di tale obbligo non può che consistere nell’attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice.
Nel caso di sentenze di annullamento di atti a contenuto positivo, come nel caso di specie, l’esecuzione del giudicato comporta per l’Amministrazione l’obbligo di adeguare la situazione di fatto e di diritto al disposto delle sentenze, attraverso l’eliminazione ex tunc di tutte le conseguenze pregiudizievoli derivanti medio tempore dall’esecuzione dell’atto poi annullato.
Anzi, l’effetto retroattivo della decisione di annullamento del giudice amministrativo, impone all’Amministrazione di rivedere i provvedimenti medio tempore assunti, allo scopo di dare piena ottemperanza al giudicato amministrativo, con il solo limite, peraltro non ricorrente nel caso di specie, del principio "quod factum est infectum fieri nequit", tutte le volte in cui nel tempo intercorso tra l’emanazione dell’atto illegittimo e il suo annullamento si siano prodotte trasformazioni della realtà fattuale tali da non consentire, per la forza stessa del fatto, la puntuale retroattività degli effetti della pronuncia giurisdizionale.
Il provvedimento ora impugnato si pone correttamente nel solco di tali, si ripete, granitici principi, in quanto l’Istituto, una volta che il Tar aveva annullato il bando di concorso in questione con la sentenza sopra richiamata, null’altro poteva fare se non recepire in modo vincolato l’effetto caducatorio ormai già prodottosi a mezzo della sentenza del giudice di primo grado, disponendo l’annullamento "formale" dello stesso atto già eliminato dal mondo giuridico.
Alla infondatezza dl primo motivo consegue, quale precipitato logico, l’infondatezza anche del secondo e terzo motivo, con cui i ricorrenti lamentano, in sostanza, l’illegittimità del provvedimento per contrarietà alle norme vigenti in tema di concorsi.
Come sopra affermato, l’attività conformativa della P.A. alle sentenze del giudice è attività vincolata, di talché per la stessa non vi è spazio per alcuna valutazione di tipo discrezionale in ordine alla vicenda che ha trovato composizione in sede giurisdizionale, né può più invocarsi l’applicazione di disposizioni normative, in merito alla cui corretta applicazione, peraltro, si sia già espresso il giudice con la decisione cui si è data ottemperanza.
Nel caso di specie, il giudice aveva già risolto il nodo dell’applicazione dell’art. 14, d.P.R. 171 del 1991, ora invocata dai ricorrenti, stabilendo che l’espletamento di un concorso interno prima che siano perfezionati gli inquadramenti diretti, comporterebbe l’assegnazione di più posti di primo ricercatore rispetto a quelli complessivamente previsti in organico, in contrasto con i principi generali in materia di pubblico impiego, oltre che con la formulazione letterale dello stesso art. 14.
Con l’ultimo capo di impugnativa, i ricorrenti sottopongono due distinte questioni: la prima, relativa alla incompetenza del Direttore dell’Istituto ad annullare atto adottato a suo tempo dal Ministro; la seconda, relativa alla lamentata carenza di organico nel profilo di interesse.
Anche questo motivo è infondato.
Ed invero, l’atto impugnato, avente natura di atto amministrativo, è stato correttamente adottato dall’organo amministrativo e non da quello politico, in coerenza con quanto previsto dall’art. 3, d.lgs. n. 29 del 1993, che ha separato le competenze di natura prettamente politica e di indirizzo, proprie degli organi di governo, rispetto all’attività di gestione amministrativa vera e propria, affidata direttamente alla competenza dei dirigenti.
Infine, è stata in fatto smentita l’asserzione dei ricorrenti circa la lamentata carenza di organico, avendo l’Amministrazione resistente fatto osservare di avere proceduto, a seguito dell’intervento del giudice amministrativo, all’inquadramento di 48 dipendenti nel profilo di primo ricercatore.
Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato perento con riferimento ai ricorrenti: R. D., S. D., D. G. e T. M.; deve essere respinto con riferimento agli altri ricorrenti che hanno riassunto il giudizio ai sensi dell’art. 9, legge 205/2001.
La materia trattata costituisce giusta causa per disporre la compensazione delle spese del giudizio tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione Terza Ter – definitivamente pronunciando, in parte dichiara perento, ed in parte respinge il ricorso in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 25 febbraio 2010 con l’intervento dei Magistrati:
Italo Riggio, Presidente
Donatella Scala, Consigliere, Estensore
Giulia Ferrari, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 23 SET. 2010.