L’EVOLUZIONE DEL DANNO NON PATRIMONIALE
di Marco Proietti

Il risarcimento del danno non patrimoniale è stato oggetto di una recente pronuncia da parte della Corte di Cassazione la quale – superando il precedente orientamento che si fondava sulle sentenze del 2003 – ha, in primo luogo, elaborato un’unica nozione di danno non patrimoniale (comprensivo sia del danno biologico che di quello morale ed esistenziale) ed ha, in secondo luogo, definitivamente chiarito quanto alla liquidazione in via equitativa da parte del giudice.

 

1. Introduzione. – 2. Il danno esistenziale secondo le sentenze del 2003 – 3. La semplificazione della Corte nel 2008 – 4. La quantificazione del danno. – 5. Conclusioni.

1. INTRODUZIONE.
Come ormai noto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 26972 dell’11.11.2008 – dal contenuto identico ad altre tre la n. 26973/2008, la n. 26974/2008 e la n. 26975/2008 – hanno riesaminato in modo approfondito la nozione di “danno non patrimoniale” cercando di semplificarne la determinazione e la distinzione dal danno patrimoniale in senso stretto; in particolare la Cassazione ha chiarito che le categorie di danno biologico, morale ed esistenziale, altro non sono se non delle sottoclassificazioni di una macrocategoria rappresentata proprio dal danno non patrimoniale e che, in questo senso, l’unica distinzione possibile è quella tra danno di natura patrimoniale e danno non patrimoniale.
In origine, infatti, il danno non patrimoniale – pur costituendo una categoria unitaria – era stato diviso in tre categorie rappresentate dal danno biologico, dal danno morale e dal danno esistenziale; quest’ultimo è stato quello che ha offerto maggiori spunti di riflessione e, almeno secondo il precedente orientamento, consisteva nella compromissione delle attività realizzatrici della persona umana (es. la serenità familiare) e si distingueva sia dal danno biologico, in quanto non presupponeva una lesione dell’integrità psico-fisica, sia dal danno morale, in quanto non costituiva un mero patema d’animo .
Questa classificazione è ora venuta meno, e si è partiti proprio dal danno esistenziale per giungere alla definitiva riunificazione nell’unica categoria del danno non patrimoniale.

2. IL DANNO ESISTENZIALE SECONDO LE SENTENZE DEL 2003.
Le storiche sentenze Cass. 8827 e 8828 del 2003 avevano formalmente riconosciuto l’esistenza del danno esistenziale e lo avevano ricondotto nell’alveo dell’art. 2059 cod. civ., ovvero del danno non patrimoniale, e si era precisato che in questo ambito rimanevano compresi anche “tutti gli altri casi in cui il fatto illecito abbia leso un interesse o un valore della persona di rilievo costituzionale non suscettibile di valutazione economica”; proprio le argomentazioni sul rilievo costituzione del danno esistenziale hanno portato ad una lenta, ma progressiva, rilettura dei suoi confini.
Infatti in un primo momento l’art. 2059 cod. civ. era stato interpretato solo alla luce
dell’art. 185 cod. pen. e, quindi, i c.d. “casi previsti dalla legge” risultavano solo le fattispecie di reato: tale lettura risultava fin troppo restrittiva per un sistema, quello risarcitorio, in forte fermento.
Da più parti – sia in dottrina che in giurisprudenza – si chiedeva una rilettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ., all’interno della quale comprendere le violazioni dei diritti che la Costituzione riconosce e garantisce; dalle sentenze gemelle del 2003 in poi, quindi, il danno esistenziale inizia ad esistere concettualmente e ad assumere una propria autonomia inserendosi tra il danno biologico ed il danno morale, complicando ulteriormente un sistema di per sé già piuttosto complesso.

3. LA SEMPLIFICAZIONE DELLA CORTE NEL 2008.
Le Sezioni Unite della Cassazione sono state chiamate a dirimere l’intricata questione nel 2008 e, con una sentenza di importanza storica, hanno fornito un importante chiarimento e semplificazione partendo proprio dal danno esistenziale.
Si legge infatti in motivazione alla sentenza n. 27972 che “… la rilettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., come norma deputata alla tutela del danno non patrimoniale inteso nella sua accezione più ampia, riporta il sistema della responsabilità aquiliana nell’ambito della bipolarità prevista dal vigente codice civile tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.) (sent. 8827/2003, n. 15027/2005, n. 23918/2006)”; la Corte, sempre in questa direzione, ha ribadito che il danno non patrimoniale è caratterizzato dalla tipicità e quindi è risarcibile solo nei casi espressamente previsti dalla legge, o comunque nei casi in cui si realizzi una lesione di diritti inviolabili della persona: proprio per questa ragione è possibile il risarcimento del danno non patrimoniale al di fuori dei casi determinati dalla legge, solo a fronte di tale lesione in quanto deve sussistere un’ingiustizia costituzionalmente qualificata .
La Cassazione, dunque, ha semplificato notevolmente il panorama del risarcimento del danno non patrimoniale che – soprattutto nell’ambito delle cause attinenti alla materia del diritto del lavoro – ha finito con essere estremamente eterogeneo e caotico; in questo senso la pronuncia delle Sezioni Unite deve leggersi come un punto di arrivo volto ad eliminare equivoci interpretativi ed a rendere più rapida anche la stessa determinazione del danno in sede di richieste risarcitorie: si abbandona la suddivisione in categorie e sottocategorie dei danni non patrimoniali e si accede all’unica macrocategoria del “danno non patrimoniale” all’interno della quale vengono compresi tutti i pregiudizi subiti “entro il limite segnato dalla ingiustizia costituzionalmente qualificata dell’evento danno”.
Per altro è interessante notare che il giudice di legittimità, nel caso preso in esame, era stato chiamato a pronunciarsi su una fattispecie in cui – partendo dalla suddivisione in categorie di danno non patrimoniale – il giudice di appello aveva rigettato la richiesta di liquidazione del danno esistenziale (per la prima volta chiesto in sede di gravame) ritenendo che esso integrasse una domanda nuova e non aveva tenuto conto che si trattava solo di una mera precisazione della richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale già avanzata nel primo grado; superando quindi la precedente impostazione, la Corte ha cassato la sentenza del giudice di appello ed ha chiarito che il nomen utilizzato è solo ai fini descrittivi poiché sia nel caso di danno morale, che di danno esistenziale, che di danno biologico, si è comunque di fronte ad un tipo di danno non patrimoniale .

4. LA QUANTIFICAZIONE DEL DANNO.
Con riferimento, invece, alla quantificazione del danno non patrimoniale e quindi alla determinazione concreta del risarcimento è utile un chiarimento.
In linea di massima il risarcimento del danno avviene in linea equitativa da parte del giudice, eppure il danneggiato può utilizzare alcuni strumenti a propria disposizione e fornire una determinazione specifica del danno; se si prende un caso di scuola, quale la richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale causato dall’illegittimo demansionamento, il prestatore di lavoro potrà in primo luogo affidarsi all’equa determinazione del danno effettuata dal giudice, il quale terrà conto di tutti gli elementi che hanno concorso nella lesione di diritti inviolabili e costituzionalmente garantiti; in secondo luogo, come si diceva, il lavoratore potrà fare riferimento al periodo di demansionamento indicando la data da cui ha avuto inizio che, in genere, corrisponde a quella in cui è stato adottato uno specifico provvedimento o comunque quella in cui è avvenuto lo spostamento/demansionamento effettivo: su quel periodo complessivamente considerato è possibile calcolare il danno quantificandolo in proporzione alla retribuzione percepita, e comunque in una somma non minore della metà della retribuzione spettante.

5. CONCLUSIONI.
E’ quindi di chiara importanza la posizione assunta dalla Suprema Corte la quale, capovolgendo il precedente orientamento, ha finalmente chiarito la disciplina sul danno esistenziale; va comunque ricordato che, nonostante tale semplificazione, è sempre necessario accertare l’esistenza di alcuni elementi essenziali da cui far derivare il proprio diritto al risarcimento del danno, e nello specifico: (i) un pregiudizio di tipo biologico in senso stretto, che attiene alla sfera fisica del danneggiato; (ii) un pregiudizio di tipo morale, legato al danno biologico ed attinente alla sofferenza intimamente patita dal danneggiato; (iii) un pregiudizio di tipo esistenziale, inteso come una modifica peggiorativa delle normali abitudini di vita.

Avv. Marco Proietti