1. – C.A. e G., eredi di Ca.An., con separati, ma identici ricorsi hanno proposto una domanda di equa riparazione in relazione a giudizio presupposto a suo tempo promosso dal padre, che nel corso del giudizio era poi deceduto.
La corte d’appello di Napoli, con distinti decreti, ha dichiarato le due domande inammissibili.
2. – Le parti hanno chiesto la cassazione dei due decreti.
Il Ministero della giustizia vi ha resistito. Le ricorrenti hanno poi depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – I due ricorsi, sebbene non proposti per l’impugnazione della medesima decisione, possono essere riuniti, perchè le domande di equa riparazione che sono all’origine dei due processi provengono da eredi dell’unica parte, che a suo tempo aveva iniziato il giudizio presupposto.
Essi presentano inoltre identici motivi.
2. – E’ accaduto che gli eredi di Ca.An. fossero quattro e che, morto il padre, si siano costituti nel giudizio per proseguirlo.
Conclusosi poi quel giudizio con una cancellazione dal ruolo;
rivendicando ciascuno degli eredi l’equa riparazione per la non ragionevole durata di quel processo, in cui tutti si erano costituiti, essi hanno proposti distinti ricorsi alla corte di appello di Napoli.
Su due di questi ricorsi, proposti dagli eredi C.P. e V., la corte di appello, a differenza che nei due casi ora in esame, pronunciò decreti di parziale accoglimento, accordando un’equa riparazione di 4.100,00 Euro, ma su successivi ricorsi delle due parti, questa Corte, con distinte ordinanze, 20515 e 20516 del 2008, ha accordato loro la maggior somma di Euro 10.000 ciascuno.
Queste decisioni vengono ora invocate dagli altri due eredi, le attuali ricorrenti, perchè avrebbero efficacia di giudicato nelle due attuali controversie.
Ma questa efficacia di giudicata va loro negata.
Non importa infatti stabilire se la somma accordata a titolo di equa riparazione in quelle ordinanze lo sia stata agli altri due eredi, in quanto successori di Ca.An., cioè dell’attore originario e per un danno non patrimoniale da quello o subito o in nome proprio, perchè, dopo la morte del padre, diventati essi parti di quel giudizio.
In ambedue i casi, le quattro parti sono rispetto al Ministero creditrici per somme distinte e non in solido per le stesse somme, sicchè non si possono giovare di quei giudicati, in base all’art. 1306 c.c., comma 2.
3. – Si deve passare all’esame del fondo dei due ricorsi, che contengono ciascuno tre identici motivi, corredati da quesiti.
La questione di diritto oggetto dei quesiti che concludono i primi due motivi è la seguente: se la domanda di equa riparazione proposta entro sei mesi dal giorno in cui la causa è cancellata dal ruolo per mancata comparizione delle parti rispetta la condizione di proponibilità prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4.
La risposta è affermativa ed i motivi sono dunque fondati.
La domanda di equa riparazione può essere proposta durante la pendenza del giudizio presupposto.
Prima che sia decorso il termine stabilito dall’art. 307 cod. proc. civ., comma 1 siccome può essere riassunto, il processo è da considerare in istato di pendenza.
Orbene, il giudizio presupposto era stato cancellato dal ruolo con ordinanza 12.12.2005 e, alla data di presentazione del ricorso in equa riparazione, avvenuta il 5.6.2006 – come risulta dal – ricorso proposto a questa Corte – non era decorso il termine per la riassunzione, stabilito in un anno dalla norma richiamata, allora vigente, ed ora ridotto a tre mesi.
5. – La corte d’appello – alla ragione di inammissibilità appena discussa – ne ha però unita un’altra, indicata nella circostanza d’avere le parti lasciato cancellare la causa dal ruolo per avere in precedenza transatto la causa.
La domanda di equa riparazione sarebbe inammissibile per il fatto d’essere stata proposta oltre il termine semestrale prima indicato, il cui inizio andava collocato in data anteriore alla prima delle due udienze lasciate andare deserte – e che, nel ricorso, è detto essere caduta il giorno 28.11.2005.
Il vizio di violazione di norme di diritto che nel terzo motivo si dice inficiare questo punto della decisione è indicato nella circostanza che, in ogni caso, non da una precedente transazione raggiunta fuori dal giudizio può essere fatto decorrere il termine di decadenza per proporre la domanda, ma solo dalla data in cui la sopravvenienza della transazione è resa operante nel giudizio presupposto attraverso un provvedimento che vi mette fine.
Anche questo motivo è fondato.
La Corte osserva che, in sede di applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 siccome la domanda di giustizia attiva giudizi diversamente strutturati a seconda della situazione soggettiva fatta valere e della tutela giurisdizionale che vi è invocata, per decisione che lo conclude si deve intendere non solo la sentenza, ma quel provvedimento che esaurisce il dovere del giudice di pronunciarsi sulla situazione giuridica oggetto del giudizio.
Così perfezionatasi la vicenda in cui di fronte allo Stato si pone il diritto di una parte di vedere risolta la controversia che la contrappone all’altra, nasce anche il loro onere di lamentare la durata del tempo impiegato dallo Stato per rendere il servizio della giustizia.
La circostanza che in pendenza della controversia le parti raggiungano un accordo tra loro per la composizione della lite da luogo ad una vicenda se pur parallela, diversa e che del resto presenta caratteri di stabilità non eguali, giacchè la transazione si presta ad essere impugnata per vari motivi, potendo così tornare ad essere attivo l’interesse delle parti alla decisione sul fondo della pretesa originaria.
E’ solo quando, a seguito della transazione, gli effetti che sul piano giuridico scaturiscono tra le parti sono fatti rifluire nel processo, che emerge il dato, d’essere cessato il dovere del giudice di provvedere sulla domanda: ciò trova cristallizzazione nel pertinente provvedimento, che può assumere contenuto diverso, perchè le parti possono chiedere al giudice che prenda atto del loro sopravvenuto difetto di interesse alla decisione o perchè le parti tacitamente abbandonano il processo.
La conclusione, del resto, appare anche consentanea alla esigenza che le disposizioni nelle quali è configurata una decadenza non conducano a restringere l’ambito di esercizio del diritto oltre i limiti che risultano dalla sola interpretazione letterale e logica delle espressioni usate.
La Corte ritiene di dover perciò pervenire alla conclusione, che sul punto appariva essere stata già attinta dalle proprie precedenti decisioni 24 gennaio 2003 n. 1069 e 11 marzo 2005 n. 5398.
Questo non significa che del tempo lasciato trascorrere dalle parti per abbandonare il processo o chiederne la chiusura non sia poi giustificato escludere la rilevanza quando si tratti di imputare a loro e non allo Stato la ulteriore durata del processo.
6. – I ricorsi sono accolti ed i decreti cassati.
7.1. – Le ricorrenti hanno chiesto che la Corte eserciti i suoi poteri di decisione nel merito, con conseguente condanna al pagamento in favore di ciascuna della somma di 20.000 Euro con gli interessi legali dalla data della domanda, ma che in caso contrario cassi il decreto con rinvio.
In funzione della prima decisione hanno analiticamente descritto nei ricorsi lo svolgimento avuto dal giudizio presupposto.
Nelle memorie hanno invece invocato il giudicato di cui si è detto.
Il Ministero della giustizia non ha ritenuto di presentare difese scritte od orali.
7.2. – La Corte ritiene che le esigenze di ragionevole durata del processo siano massime nel giudizio di equa riparazione e che, se gli elementi di fatto rilevanti per la decisione sono di quelli che si prestano ad essere riscontrati in base agli atti del giudizio presupposto, com’è per ciò che attiene alla sua durata, essi siano da considerare come accertati, una volta che la parte privata li abbia allegati e quella pubblica non li abbia contraddetti.
Ritiene quindi di avere comunque il potere di decidere la causa nel merito.
8. – Il giudizio presupposto è iniziato il 10.9.1992.
E’ terminato il 12.12.2005.
La sua durata è stata di 13 anni e 3 mesi.
Si apprende dal ricorso, che l’originario attore, Ca.An., moriva il (OMISSIS).
In tale giudizio, senza che il processo fosse stato dichiarato interrotto, il 12.3.1997, si costituivano come suoi eredi, oltre ad C.A. e G., C.P. e V..
Il giudizio sarebbe stato cancellato dal ruolo il 12.12.2005, a seguito di diserzione di quella udienza e della precedente del 28.11.2005.
9. – Se pure alle precedenti pronunce prima richiamate non si presti ad essere attribuita in loro favore l’efficacia che le attuali ricorrenti hanno inteso attribuirle nelle memorie di cui si è prima fatto cenno, tuttavia la Corte ritiene di non discostarsi, nel caso in esame, dalle valutazioni di ordine giuridico che furono allora sottese alla decisione sulla concreta unitaria situazione di fatto.
Le domande sono in conseguenza accolte, per quanto concerne il danno non patrimoniale, con la condanna del Ministero della giustizia al pagamento in favore di ciascuna delle ricorrenti della somma di Euro 10.000,00 con gli interessi dalla data della domanda.
Sono invece rigettate per quanto riguarda il danno patrimoniale, perchè non ne è stata data alcuna prova.
10. – Le spese del giudizio di merito si prestano ad essere liquidate in Euro 500,00 per onorari e 600,00 per diritti, oltre ad Euro 25,00 per spese e così in complessivi 1.125,00 Euro per ciascuna delle parti, avendo avuto i due giudizi un corso distinto.
11. – Le spese del giudizio di cassazione sono liquidate, sempre in favore di ciascuna delle due parti in Euro 965,00, 100,00 dei quali per spese.
A tutte le spese sono aggiunti il rimborso forfetario delle spese generali e gli accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte riuniti i ricorsi li accoglie, cassa i decreti impugnati e, pronunciando nel merito, condanna il Ministero della giustizia a pagare ad C.A. e C.G. la somma di Euro 10,000, per ciascuna d’esse, a titolo di equa riparazione, con gli interessi legali dalla data della domanda (5.6.2006), le spese del giudizio di merito, liquidate per ciascuna parte in complessivi Euro 1.125,00 e le spese del giudizio di cassazione, liquidate per ciascuna parte in complessivi Euro 965,00: a tutte le spese sono aggiunti il rimborso forfetario delle spese generali e gli accessori di legge.
La cancelleria darà le comunicazioni previste dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 5.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2010