Con decreto n. 112 cron. in data 16.1.2003 la Corte di Appello di Perugia, pronunziando su domanda proposta da P.A. diretta al conseguimento di equo indennizzo per l’irragionevole durata di un processo penale svoltosi innanzi agli Uffici giudiziali romani, rilevata la tardività del ricorso 26.3.2002 rispetto alla data di acquisizione di irrevocabilità della pronunzia e con riguardo alla previsione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4, lo dichiarò inammissibile e condannò il ricorrente alla refusione delle spese in favore del Ministero della Giustizia, costituitosi con il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato, il P.A. propose ricorso per Cassazione con atto dell’8.4.2003 deducendo violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, e vizio di motivazione. Costituitasi l’Amministrazione, questa Corte, con sentenza 8855 del 2005, sul rilievo per il quale la domanda di equo indennizzo era stata proposta contro il Ministero delle Finanze – come rilevato dalla narrativa del decreto impugnato – e non contro l’intimato (in sede di legittimità) Ministero della Giustizia, dichiarò inammissibile il ricorso siccome indirizzato a soggetto diverso da quello che era stato parte del giudizio concluso con il decreto impugnato. Per la revocazione di tale sentenza il P.A. ha proposto ricorso 28.9.2005, illustrato in memoria finale, nel quale ha prospettato l’errore revocatorio viziante la pronunzia 8855/05, avendo la Corte ritenuto che il rapporto processuale nel giudizio di merito si fosse instaurato con il Ministero delle Finanze laddove dallo stesso decreto della Corte di merito risultava chiaro che il rapporto era occorso con il Ministero della Giustizia (in favore del quale era stata adottata condanna alle spese), sì che la menzione del Ministero delle Finanze nella narrativa del decreto doveva ritenersi mero lapsus calami.
OSSERVA IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che, se il ricorso per revocazione debba essere accolto e la pronunzia impugnata debba essere annullata per la sussistenza del denunciato errore di fatto (art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4), nondimeno, in sede rescissoria, il ricorso per Cassazione avverso il decreto 112/03 della Corte di merito debba essere rigettato per infondatezza della censura.
Con riguardo alle considerazioni pertinenti alla fase rescindente dell’impugnazione ritiene il Collegio fondata la denunzia di errore contenuta in ricorso. In punto di diritto va invero rammentato il costante indirizzo di questa Corte per il quale sussiste l’errore percettivo di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, rilevante ad inficiare una sentenza della Corte di Cassazione (art. 391 bis c.p.c.), le volte in cui la sentenza sia stata adottata per effetto di una svista materiale, evidente ed oggettiva ed attingente un punto decisivo ma non dibattuto tra le parti nè sottoposto a valutazione della Corte di legittimità, una svista cagionata dalla rappresentazione di un fatto che, invece, gli atti della causa contrastavano (nella sua esistenza od inesistenza) drasticamente (da ultimo Cass. 2425/06).
E tanto è accaduto nella specie, posto che la sentenza 8855/05, esaminando ex officio la questione della legittimazione del controricorrente Ministero della Giustizia (punto decisivo ma non dibattuto) ha affermato che il rapporto processuale in sede di legittimità era stato instaurato con soggetto diverso da quello che era stato parte in sede di merito (il Ministero delle Finanze) ed ha fondato tale assunto sulla letterale menzione di esso nella narrativa del decreto impugnato, in tal guisa omettendo la lettura degli atti del processo concluso con il decreto impugnato, atti che, di contro, attestavano inequivocabilmente: che il rapporto processuale in sede di merito era stato instaurato con il Ministero della Giustizia; che tanto emergeva anche dalla sola lettura del decreto, recante condanna alle spese a carico del soccombente P.A. ed in favore del predetto Ministro della Giustizia; che pertanto era evidente (come fatto palese anche dall’inerenza della domanda di equa riparazione alla durata di processo penale svoltosi innanzi a giudici romani) che la Corte perugina era incorsa in mero lapsus calami nella menzione dell’Amm.ne finanziaria nella narrativa del decreto.
Annullata la sentenza 8855/05 e pertanto aperta la fase rescissoria, pare al Collegio che la statuizione fatta dalla Corte perugina sia stata erroneamente contestata nel ricorso. Alla data del 26.3.2002 (deposito del ricorso L. n. 89 del 2001, art. 2) era infatti certamente decorso il termine semestrale di cui all’art. 4, essendosi il processo penale, irragionevolmente durato, concluso con pronunzia di rigetto della Cassazione in data 15.6.2001 ed a tal data – quella della lettura del dispositivo della pronunzia della Cassazione penale e non già di quella del deposito della pronunzia – dovendosi far capo ai fini in discorso, con la lettura del dispositivo di rigetto, pubblicamente effettuata, acquisendo ad ogni effetto definitività la decisione di merito impugnata e con essa concludendosi l’intero giudizio (arg. da Cass. 23789/04). L’assenza di difese dell’intimata Amministrazione dispensa dal regolare le spese.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, annulla la sentenza 8855/05 di questa Corte, respinge il ricorso proposto dal P.A. avverso il decreto n. 112 cron. in 16.1.2003 della Corte di Appello di Perugia.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2007